foto di Silvia Meacci
C’è anima nella terracotta. “Solve et coagula“, sciogliere per riunire. Si parte dall’elemento terra, concreto e ricco di potenzialità, ma informe, si mescola con l’acqua, fluido ricco di memoria e di sensazioni e si ottiene una materia plasmabile. L’aria è respiro, riflessione e sospensione e servirà, assieme al tempo, ad asciugare e trasformare la materia per il passaggio successivo. Sarà il fuoco a fissare e far rinascere qualcosa che non era ma che durerà e resisterà, anche grazie al duro lavoro e alla maestria dei fornacini. Questa è la terracotta, naturale, forte, ecosostenibile. Simbolo di Impruneta: paese situato a sud del capoluogo toscano rinomato per le sue fornaci, per gli orci pregiati da esibire nei giardini, per la fiera ottobrina di San Luca, per il Museo della Festa dell’Uva, per il peposo, il vino, l’olio e certamente non ultimo, per il culto della Madonna la cui immagine miracolosa, custodita nella Basilica di Santa Maria all’Impruneta, nel passato è stata più volte portata in pellegrinaggio a Firenze affinché la città fosse protetta dalle alluvioni o dalla peste. L’ampia piazza di Impruneta ha il nome della famiglia aristocratica Buondelmonti che ebbe un ruolo determinante nella divisione politica di Firenze tra Guelfi e Ghibellini. Impruneta e Firenze sono dunque legate a filo doppio per motivi religiosi, artistici e storici, ma forse non tutte le persone, ammirando la cupola del Duomo di Firenze, si ricordano che per realizzare questo capolavoro furono utilizzati i rossi embrici imprunetini di cui Michelangelo in persona controllò la qualità. Con il suo simbolo imponente, forte e svettante al cielo, Firenze promuove ogni istante l’Impruneta ( così i fiorentini la chiamano, affettuosamente, con l’articolo davanti ), ma anche con la meravigliosa Madonna con Bambino in terracotta di Donatello o con gli altorilievi in terracotta invetriata dei Della Robbia.


Nel Quattrocento la terracotta non fu più solamente materiale esclusivo per oggetti domestici o pratici, ma fu utilizzata dai massimi artisti dell’epoca. Pensiamo allo stupendo pavimento della Biblioteca Laurenziana in cui nivei intarsi di marmo esaltano per contrasto la rossa terracotta. La marna calcarea ricca di ferro ( galestro imprunetino ), una volta cotta, dà infatti vita a un materiale di un colore unico, mai uguale, che vira dal rossastro all’arancio. Anche la ricchezza di boschi (pensiamo al nome Impruneta che significa “all’interno di una pineta”) che garantivano il legname per i forni, facilitò la produzione del cotto. Già gli Etruschi e i Romani realizzavano manufatti d’argilla nella zona, ma è nel Medioevo che l’attività fiorì: si hanno testimonianze scritte che nel 1098 si producevano le tegole. In alcuni documenti della Pieve di Santa Maria all’Impruneta, risalenti al 1308 si parla dei vasai, chiamati “figuli” e a un anno dopo risale la “Corporazione degli Orciolai e Mezzinai”. Impruneta sfornava vasi, laterizi, embrici, catini, orci e contenitori per lo stoccaggio dei cibi come olio e vino. Successivamente crebbe la produzione di arredi e ornamenti per muri, giardini, statue per i pilastri d’ingresso che da allora continua ancora oggi anche senza i fasti degli anni ’60, ’70, e ’80. Impruneta investe molto per promuoversi per esempio con attività didattiche e propedeutiche nelle scuole sperando che il mestiere del fornacino non vada mai a perdersi. È anche possibile visitare le fornaci. Interessante l’antica Fornace Agresti: inattiva dagli anni ottanta del Novecento, è stata oggetto di restauro conservativo ed è un suggestivo esempio di archeologia industriale in cui ammirare attrezzi, stampi e macchinari. In occasione dell’undicesima edizione della manifestazione nazionale “Buongiorno Ceramica”, organizzata dall’ Associazione italiana Città della Ceramica, che coinvolge 58 comuni italiani produttori di ceramica artistica e artigianale, Impruneta ha organizzato sabato 17 e domenica 18 maggio una serie di eventi per promuovere il suo territorio e le sue eccellenze. Molto suggestiva l’inaugurazione di “7 volte 7”, installazione in Piazza Buondelmonti di Filippo Travagli. L’artista è riuscito con intelligenza a unire le 7 fornaci storiche aderenti al marchio CAT (Artenova, Sergio Ricceri, Poggi Ugo, Masini, Carbone, Pesci Giorgio&Figli, MITAL), proponendo stupendi vasi e orci chiusi da specchi circolari che ammiccano al cielo. I quattro elementi sono magistralmente sintetizzati: lo specchio posto orizzontalmente spinge il fruitore dell’opera a cambiare il punto di vista, a chinarsi sulla superficie riflettente, a interagirci, a osservare se stesso e a lasciarsi stupire dal mutare dei riflessi di aria, cielo, nuvole, pioggia, luce. Elementi transitori che si contrappongono alla permanenza e alla resistenza del cotto.


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