prima parte
Diari Toscani incontra la pittrice Silvana Gatti. Nata a Tunisi, vive a Rivoli, in provincia di Torino. Pittrice figurativa e simbolista, tiene laboratori di pittura per bambini. Ha scritto per alcune riviste d’arte, attualmente scrive recensioni sulla rivista Art&trA di Roberto Sparaci. Ha all’attivo numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Ultimamente ha esposto presso il Museo Civico della Casa del Conte Verde di Rivoli a Villa Filippini di Besana di Brianza. e alla Biblioteca Angelica di Roma, dove ha ricevuto il Premio BlustarInternational. Alcune sue opere sono pubblicate in numerose riviste e libri d’arte.

Silvana Gatti, lei è un’artista che ama l’arte a tutto tondo e che cerca il confronto, non solo con gli artisti, ma anche con coloro che ne fruiscono: è necessario, però, avvicinare anche chi di arte poco o niente sa…
Esatto, è proprio questo che è necessario fare, portare l’arte non solo nelle gallerie, ma esporre anche in altri luoghi, in modo che le persone ricevano un messaggio positivo. Non voglio arrivare a dire a educare, ma, quanto meno, per condurle verso valori positivi. Sinceramente sono un po’ spaventata da tutto ciò che sta accadendo, una grande responsabilità è anche dei programmi televisivi dai quali spesso arrivano messaggi violenti: dalle cronache ai processi in diretta. È fondamentale che ci siano programmi che parlino di arte, di cultura, mentre, perlopiù, le persone vengono caricate di messaggi negativi che producono, su alcune di esse, effetti dannosi, nocivi. Non solo sugli adulti, ma anche su adolescenti e bambini.
Ed è proprio a quest’ultimi che lei insegna…
Sì, tengo dei laboratori di pittura. Alcuni di loro che venivano da me una ventina di anni fa, hanno, poi, proseguito i loro studi all’Accademia di Belle Arti. Con qualcuno, non solo sono rimasta in contatto, ma abbiamo fatto delle mostre insieme. Ricordo una bambina di cinque o sei anni che veniva da me anche con la febbre, adesso è un’artista. Vedere che coltivano questa passione per l’arte è veramente bello e gratificante.
Proprio a seguito di quanto mi sta dicendo, possiamo dire che l’arte lascia un segno?
Sta a noi decidere che segno vogliamo lasciare. Io penso che un artista, nel suo piccolo, debba riflettere la società in cui vive, abbiamo visto che tutti gli artisti del passato hanno messo le proprie emozioni nei loro lavori. Pensiamo anche solo a Van Gogh o ad altri artisti che hanno lasciato un segno, credo che anche noi contemporanei dovremmo fare lo stesso con ogni tipo di linguaggio artistico, che sia pittura, scrittura, scultura. Questi saranno il mezzo per lasciare un segno del nostro passaggio, perché il nostro è un passaggio.

Nei suoi quadri sono sempre presenti dei simboli, perché?
I miei lavori sono ricchi di simboli perché tramite essi voglio raccontare la società in cui viviamo e che mi desta preoccupazioni. In essi coesistono, ovviamente, sia il bene, sia il male. Nelle mie ultime opere sto ritraendo dei cavalli. Mi sono rifatta alla leggenda della Biga Alata di Platone. Colui che conduce è la ragione che tiene a bada il cavallo nero e quello bianco con le briglie. L’auriga fa sì che fra il bene e il male ci sia un equilibrio. Sono partita da questa leggenda e ho voluto sviluppare alcune opere. Nelle ultime sono presenti entrambi i cavalli: bianco e nero.

In un mio quadro, La perdita della ragione è presente, sulla spiaggia, una biga senza auriga: rappresenta la ragione abbandonata, mentre i cavalli, nero e bianco, nella parte superiore della tela litigano in quanto non c’è più la ragione a guidarli. In fondo è ciò che succede ai giorni nostri. Questo quadro è un racconto alla conclusione del quale, con quel raggio di luce in mezzo alla tela, l’auspicio che è che ci sia un’evoluzione che volga verso il meglio. Così come nel mio quadro La sfida in cui il cavallo nero e quello bianco si sfidano con il mare che avanza, simbolo dei cambiamenti climatici e dei conflitti in corso. I cavalli litigano e la sfida è che il bianco, che rappresenta la collettività e il bene, vinca su tutto il resto. È un simbolo di speranza.

Non è una visione un po’ utopistica la sua?
Sì, purtroppo. Studiando la storia, fin da bambini, nelle pagine dei libri scolastici trovavamo sempre guerre, da quelle Puniche in poi. Però dobbiamo anche dire che, nel corso della storia dell’umanità, le cose belle e positive ci sono state, basta pensare al Rinascimento e all’Illuminismo, giusto per citare due periodi importanti sotto il profilo storico, culturale e artistico.
Illuminismo, luce. Quanto è importante la luce?
La luce è importante. Per quanto riguarda il nostro percorso terreno è fondamentale per mostrarci gli errori che stiamo commettendo e farci riflettere. Senza luce, sulla tela, non potrebbero esserci le ombre, ma la funzione è proprio che con la luce si allontanano le negatività.

Nel suo quadro “L’urlo di Pinocchio” lei affianca il burattino a un robot, perché?
È un messaggio: Pinocchio è un burattino, un personaggio nato dalla fantasia di Collodi, mentre oggi il robot umanoide è una realtà. Se Pinocchio esistesse realmente, oggi scapperebbe spaventato da questi robot capaci di fare di tutto. E al centro del quadro ho messo l’orologio di Dalì, a scandire i nostri tempi. Capisco che i robot possano coadiuvare l’uomo, ma dobbiamo fare attenzione che non lo soppiantino, io ho necessità di relazionare con i miei simili, vuol mettere il valore di un sorriso di un essere umano? Adesso anche con l’intelligenza artificiale, per esempio, tutti potremo fare disegni e scrivere senza mettere del nostro. È una sfida non da poco.
continua…