Esistono varie copie della Sacra Sindone in giro per l’Italia: una di queste, a grandezza naturale, è arrivata in Lunigiana per essere esposta nella bellissima chiesa di Santa Maria Assunta a Vezzano Ligure Basso e messa al centro di una conferenza sulle ultime scoperte scientifiche che la riguardano. Relatrice della serata la dottoressa Emanuela Marinelli, scienziata plurilaureata, sindonologa di fama mondiale, autrice di più di 20 libri sull’argomento, una delle massime esperte del sacro velo a livelli mondiali. Come ha sottolineato il titolare della parrocchia, don Federico Ratti, citando un’enciclica di papa Giovanni Paolo II, “Fides et ratio”, fede e ragione, sono due linee di pensiero che possono tranquillamente camminare insieme, senza per forza scontrarsi, come avvenuto in passato, costruendo insieme un rapporto solido e resistente con il divino.

Le indagini di tipo scientifico trovano una data di inizio simbolica nel 1898, quando Secondo Pia, per primo fotografò la Sindone, scoprendo che l’immagine impressa nel negativo delle lastre corrispondeva al positivo di un uomo che non poteva essere visto a occhio nudo. Da quel momento in poi sono state svolte una serie di ricerche per capire se davvero quel telo può essere considerato originale e se davvero ha avvolto il cadavere di un uomo. Le prime risposte arrivano proprio dalla composizione del tessuto, fibre di lino che all’esame del DNA hanno rivelato l’origine delle piante dalle quali è stata ricavata la fibra: l’India. I lini indiani erano rinomati per la loro caratteristica lavorazione a spina di pesce che li rendeva ricercatissimi e pregiati, adatti per gli usi sacerdotali. Narrano i Vangeli infatti che Giuseppe d’Arimatea, sacerdote del Tempio, onde evitare che il corpo di Gesù finisse in una fossa comune, come era uso per tutti i morti per crocifissione, ne reclamò il possesso a Pilato per poterlo seppellire, cosa che fece, avvolgendolo in un telo di sua proprietà. Un telo da sacerdote proveniente dall’India? Nella trama sono stati ritrovati pollini di piante endemiche della zona, uno di questi appartiene ad un vegetale presente solo nella zona di Gerusalemme ed ancora tracce di aloe e mirra, sostanze usate per le sepolture dei ricchi, ma ancora aragonite, un minerale rintracciabile nelle grotte della città santa. Ci sono tracce ematiche in corrispondenza delle ferite subite dal corpo impresso, del tipo AB, lo stesso gruppo sanguigno rilevato in un altro telo famoso, il sudario di Oviedo e in alcuni miracoli eucaristici. Il sacro telo non ha tracce di pigmenti il che sta a significare che non è stata dipinta in alcun modo, come molti tendono a insinuare; i più arditi addirittura sostengono che sia stato creato dal genio di Leonardo da Vinci. Rincorrendo a ritroso l’apparizione della Sindone, però, possiamo andare con certezza fino al 1353, quando il cavaliere Goffredo di Charny la donò alla chiesa di Leonardo nacque quasi cento anni dopo, credo sia inutile aggiungere altro. Che cosa è rappresentato dunque all’interno di quel telo? La figura di una persona morta da non più di 36/40 ore, dell’apparente età di circa 30/40 anni, alto all’incirca 175 cm, di corporatura robusta che ha sofferto le stesse torture e sevizie riportate nei vangeli a danno di Gesù, con una ratio probabilistica di 1 su 200 miliardi. Le coincidenze e le tracce esterne sono così tante, che è più facile sostenere la veridicità del telo piuttosto che il contrario. C’è solo una questione importante da risolvere, ovvero come si sia potuta produrre una tale immagine. Le fibre di lino hanno subito un ingiallimento profondo, un quinto di millimetro sulla superficie e l’unico modo per cui questo è potuto accadere consiste in un potente irraggiamento ortogonale proveniente dall’interno, ovvero dal corpo stesso. L’ENEA ha dimostrato che l’unico modo per poter ripetere quell’emissione di luce con la stessa efficacia, è quello di puntare 10 mila laser unidirezionalmente per una frazione di secondo. Gesù, figlio di Dio sarebbe stato in grado di produrre tale energia durante la resurrezione? Se andiamo a rileggere il passo relativo alla trasfigurazione sul monte Tabor, si legge “Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce”, una prova più che sufficiente.
Interessante è la vicenda della datazione al C14 effettuata nel 1988 che diede come risultato un manufatto databile tra il 1260 ed il 1390. Quello che, al tempo, definì la sindone come un falso storico, si è rivelato essere un grande errore scientifico, perchè esami effettuati di seguito su una striscia di tessuto lunga pochi centimetri, fornirono una discrepanza di circa 150 anni. Non vennero tenute in considerazione tutte le possibili fonti di inquinamento, a cominciare dai residui biologici accumulati nel lungo viaggio a causa degli innumerevoli maneggiamenti, senza contare le alterazioni subite dai vari incendi a cui è scampata ed ai conseguenti rattoppi e rammendi subiti nel tentativo di rimetterla in sesto. In definitiva, il test è da considerare giusto, ma è il campione che fu scelto per essere analizzato ad essere sbagliato.
È impossibile riuscire a sintetizzare tutte le tracce e gli indizi di compatibilità rilevati, il lavoro di più di cinquant’anni di indagini, rilievi, esami e risposte ottenute, analizzando la reliquia più famosa e più impressionante di tutto il mondo cristiano, in un semplice articolo, ma il racconto di ciò che è stato fatto e scoperto è davvero affascinante. La serata si è conclusa con l’intervento del pubblico che, sollecitato dal racconto semplice e diretto della professoressa, ha proposto domande sia di natura scientifica che religiosa. Domande di fede, perchè la Chiesa stessa ha espresso un proprio parere a riguardo, anzi per meglio dirimere la questione, non si è espressa affatto sull’autenticità della Sindone, pur autorizzandone il culto alla stregua di icona della Passione di Gesù. Non è argomento fondamentale di fede ed anche se la si osserva in profonda venerazione, mi sento di dire che sia giusto così. Da fedele imperfetto credo che la Sindone debba essere considerata come spunto di riflessione e non come dogma di fede, un immagine che ci ricorda, specie in questo periodo pasquale, il dono che Dio ha fatto di sé stesso per redimere il suo popolo, noi. Meditare sul sacro telo deve farci pensare, non deve farci credere a tutti i costi, io sostengo che la fede sia azione nel pensiero e nei fatti. San Paolo sosteneva che “La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (Ebrei 11:1) “Dono della Grazia di Dio” (Efesini 2:8-9), “Suscitata dallo Spirito Santo attraverso l’ascolto della Parola di Dio” (Romani 10:17), “un modo di vivere continuo”.
Troppe volte ci fermiamo in chiesa a pregare il santo di turno senza considerare il padrone di casa ma questa è un’altra considerazione di cui magari, parleremo un’altra volta.