In molti credono che la tenacia degli imprenditori agricoli, dopo mesi di lavoro indefesso, tra fenomeni atmosferici sempre più intensi e stringenti vincoli burocratici, venga lautamente ricompensata, o lo credono, almeno, tutti coloro che si assumono il gravoso compito di provvedere alla ‘spesa’ in famiglia. Basta vedere i cartellini dei prezzi che mostrano cifre astronomiche, fortemente rincarate rispetto il periodo pre-covid. In realtà, però, questo è l’esito di logiche di mercato interne alla filiera, fortemente orientate alla massimizzazione dei profitti, che fanno ricadere il peso sui consumatori, come noto, ma anche e soprattutto su chi i prodotti li realizza davvero: i produttori. Grano, mais, cereali in genere da secoli ricoprono un’ampia porzione della dieta degli italiani e contribuiscono a caratterizzare paesaggi e aree rurali. Oggi, tali colture, vengono sottopagate agli agricoltori a prezzi che, sovente, non coprono nemmeno i costi di produzione, necessari per seminare, irrigare, concimare o raccogliere, costringendo gli operatori a lavorare anche in perdita. Ciò nonostante, sul mercato dei prodotti finiti – la grande distribuzione in particolare – il pane costa più di quattro euro al chilo, la pasta vola oltre i due ed altri prodotti derivati raggiungono cifre assolutamente incompatibili con le materie prime usate per produrli. La beffa, come detto, risiede in una filiera altamente competitiva, costretta, per forza di logiche globalizzate, a corrispondere, per prodotti domestici estremamente qualitativi (ovvero realizzati internamente alla nazione) cifre in linea con quelli importati esternamente, dove spesso si opera in regime di concorrenza sleale. L’Unione Europea, è il contesto entro la quale operano i player nazionali ed è nota per l’applicazione delle regole più stringenti in materia di fertilizzanti, fitofarmaci, o ancora tecniche di produzione, e rende di fatto i produttori interni facili prede della concorrenza estera. Ne abbiamo parlato con un esperto che, di queste logiche mercatistiche, ne ha assoluta consapevolezza. Carlo Cei, un noto imprenditore agricolo Alessandrino: “Ci troviamo in una bella situazione -commenta sarcasticamente- la realtà è che, se qualcosa non cambia, resteremo confinati in un limbo da cui è impossibile uscirne, pare che nessuno, là, dove le decisioni contano davvero, abbia realmente intenzione di risolvere il malcontento. Invece di agire come comitato d’affari delle multinazionali di categoria, Bruxelles dovrebbe delegare a regioni ed enti locali questioni come l’agricoltura, perché possono comprendere meglio le reali esigenze dei singoli territori. Ripetto ai rincari, noi siamo solo price takers. I prezzi al supermercato sono l’esito della trasformazione del prodotto, del suo packaging e il relativo marketing”.
Eppure, il lavoro nei campi è rimasto uno dei più dispendiosi in assoluto, in termini di costi. Il valore del gasolio agricolo è aumentato in modo considerevole, i fertilizzanti raddoppiati, i listini delle sementi vengono ritoccati annualmente. L’agricoltura intensiva, quella delle grandi colture, nonché quella che nutre l’industria alimentare, è in crisi nera. Ma non si vede. Perché il cibo, sugli scaffali, c’è e costa sempre di più. Ma quel costo non torna indietro a chi produce, a cui restano solo briciole. In Italia, il grano duro viene pagato mediamente tra i 25 e i 30 centesimi al chilo. Per produrre un chilo di pasta, servono circa 1,3 chili di grano, ma sugli scaffali la pasta si trova a cifre enormemente superiori. Lo scenario si fa più delineato se sommiamo al paradosso economico, anche quello culturale: in un periodo storico dove ormai sono ‘trend’ gli alimenti Bio, in cui si esalta il chilometro zero e i prodotti locali vengono incensati a colpi di hashtag su post sponsorizzati, corriamo il profetizzabile rischio di avere, da un lato, la desertificazione agricola: sempre meno aziende, sempre più grandi, sempre più dipendenti da logiche speculative; dall’altro, la perdita di valore culturale, paesaggistico, sociale di un’agricoltura che decenni addietro ha fatto l’Italia, ma che oggi sembra essere totalmente dimenticata.