Diari Toscani incontra la dottoressa Ilaria Magni, storico dell’arte medievale, critico d’arte e curatore di mostre, scrittrice di saggi e libri. Vive in Toscana.
Dottoressa, il nostro incontro è avvenuto grazie al dottor Claudio Roghi, critico, storico d’arte e presidente di Art-Alive. Entrambi siete curatori: quanto è importante relazionare, condividere esperienze e impressioni tra colleghi?
Per me è fondamentale. Ho conosciuto Claudio Roghi in occasione di una mostra alla Fornace Pasquinucci. Ciò che ci ha fatto avvicinare è stata la percezione che sia possibile fare rete, e questo non sempre avviene tra colleghi. Anche nel nostro ambiente permangono rivalità e gelosie. Non solo tra gli artisti: talvolta si pensa all’artista come colui che vuol essere la ‘primadonna’, però anche a critici, curatori e storici dell’arte capita che siano arroccati nel proprio ‘castello’. Desidero entrare in contatto con colleghi che non temano il confronto, anzi, che lo considerino un’opportunità di crescita per tutti. La simpatia spontanea e reciproca con Claudio, probabilmente, è nata per questo motivo: per la sua apertura. Ciò che dovremmo tutti considerare è che nessuno toglie qualcosa all’altro. Adoro fare rete.
L’intervista che stiamo facendo andrà in pubblicazione nella rubrica ChiacchierArte, sul giornale online Diari Toscani. Questa rubrica è nata proprio con questo intento: parlare em‘chiacchierare’ di arte, con un linguaggio che sia alla portata di tutti e non solo per coloro che sono nel settore. Cosa pensa al riguardo?
Questo è un problema dei nostri tempi: restare in un cerchio chiuso a parlare e fare arte solo fra coloro che vivono in questo mondo. L’arte è, ed è sempre stata, un mezzo di comunicazione e in quanto tale non può essere strumentalizzata da una cerchia ristretta di persone che si autocelebrano. Chi si ritiene superiore agli altri mi fa sorridere. Nessuno è insostituibile.
A questo proposito: esiste una lingua comune, quella che io chiamo l’esperanto degli artisti?
Una lingua comune tra artisti esiste, ma non è definibile in modo univoco, poiché ciascuno esprime la propria visione in modo personale. Tuttavia, questa lingua viene tacitamente compresa dagli altri quando si parla di arte. Può manifestarsi attraverso una forma, un colore, un’emozione, un elemento trasversale che va oltre l’opera stessa, un quid indefinibile ma percepibile. Tuttavia, come accennato in precedenza, se vi è una chiusura mentale che sfocia nella presunzione di ‘essere’, il timore di non apparire abbastanza può diventare un problema.
Lei ha avuto esperienze legate all’arte anche con i bambini: le sue impressioni?
L’arte arriva a colpire le persone in vari modi, con forma e colore, anche evocando ricordi ed emozioni. Sono proprio i bambini, con la loro purezza, a entrare in contatto con le opere in modo più autentico rispetto agli adulti. Recentemente ho avuto l’opportunità di lavorare con loro attraverso laboratori di scrittura creativa, coinvolgendo bambini dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado. È stato sorprendente osservare come riescano a comunicare con spontaneità e profondità, arrivando a concetti, idee e immagini che noi adulti spesso non riusciamo neanche a immaginare.
Questo lavoro con i bambini era legato a un’associazione?
In realtà mi riferivo a un laboratorio di scrittura creativa ideato da me per la Biblioteca San Giorgio di Pistoia, in connessione con la rete scolastica pistoiese, come evento collaterale di una mostra che ho co- curato insieme a Maurizio Vanni, negli spazi espositivi della biblioteca. In passato, però, ho collaborato anche con le associazioni Mus-e Firenze Onlus e Mus-e Prato Onlus, due sedi italiane della rete internazionale Mus-e, che da tempo promuove l’integrazione nelle scuole attraverso l’arte. È sempre sorprendente vedere come i bambini si aprano grazie all’arte, senza che abbiano conoscenze artistiche e senza l’obiettivo di diventare artisti o critici, ma semplicemente per sviluppare le proprie capacità personali. L’arte ha una forza straordinaria: aiuta i bambini più introversi a esprimersi e quelli più esuberanti a trovare equilibrio. E non si tratta solo di arte visiva, ma di arte in senso ampio, come linguaggio universale, una polifonia di espressioni che i bambini comprendono con naturalezza, liberi dalle sovrastrutture che spesso condizionano noi adulti. Se riuscissimo anche noi critici ad uscire ogni tanto da questi schemi, ritroveremmo una purezza di visione, senza ovviamente rinunciare alle nostre competenze. L’importante è mantenere l’onestà intellettuale e il senso autentico del nostro lavoro: evitare eccessi, non perdersi in parole complesse prive di sostanza e non scrivere testi astrusi solo per ostentare erudizione.

Preferisce essere chiamata critico o critica d’arte?
Preferisco critico, perché la critica d’arte è una materia. Preferisco critico, storico, curatore perché ritengo ci si debba concentrare sul ruolo e non sul genere.
Come si diventa critico d’arte?
Non saprei dire con certezza come si diventa critico d’arte. Forse è una questione di caso, forse di passione. Da ragazzina ero portata per il disegno e la pittura, avevo una buona mano, e sembrava naturale che frequentassi il liceo artistico, per diventare pittrice, invece decisi di iscrivermi al liceo classico, attirandomi gli strali di tutti, compresi i miei professori. Scelsi di stare dall’altra parte, perché non mi sentivo artista, anche se penso che molti, pur definendosi tali, non lo siano realmente. Pian piano ho scoperto la passione per la scrittura e il racconto in un senso profondamente emotivo ed empatico, non meramente descrittivo. Non credo che il compito del critico o del curatore sia ‘scimmiottare’ le opere, ovvero tentare di spiegarle. Il nostro ruolo è piuttosto quello di stimolare idee, sia negli artisti che nei fruitori. Per molti anni ho collaborato con l’associazione La Compagnia del Tao, che organizza eventi di arte e medicina, in un ambiente multidisciplinare. È stato proprio in quel contesto che ho capito quanto mi piacesse scrivere d’arte. Così mi sono ritrovata a lavorare come critico d’arte, probabilmente definita tale dagli altri prima ancora che da me stessa. Ho iniziato a riconoscermi in questo ruolo quando ho capito che era ciò che mi caratterizzava davvero. La cosa buffa? Spesso, dopo aver appreso che sono un critico d’arte, mi chiedono: “Sì, ma di lavoro cosa fai?”.
Cosa significa scrivere libri per gli artisti?
Significa che i cataloghi mi vanno un po’ ‘stretti’, preferisco la scrittura. Propongo sempre agli artisti l’idea di realizzare libri per le loro mostre, in modo che abbiano uno strumento valido per presentarsi e non solo una raccolta di immagini e didascalie.
Mettiamo che domani io decidessi di buttare sulla tela del colore e di mettermi sul mercato, potrei definirmi artista? Lo sarei?
Secondo me potrebbe essere ritenuta tale, con una strategia. Oggi esistono persone che, pur essendo prive di una formazione specifica, talento e originalità si improvvisano artisti, preferendo agire nel solco di generi già consolidati sul mercato, riuscendo a ricavarsi loro una fetta proprio grazie a questa operazione commerciale. Va detto che il concetto stesso di artista è relativamente moderno. Nell’antichità, nessuno si definiva tale: la parola non esisteva. Esistevano gli artefici, e persino grandi maestri come Leonardo e Michelangelo venivano chiamati artifices, ovvero artefici. Il termine artista nasce tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, quando si avverte il bisogno di un riconoscimento specifico per questa figura. Oggi, però, il termine è diventato così inflazionato che forse servirebbe una nuova parola per distinguere i grandi artisti da coloro che semplicemente si definiscono tali.
Come li definirebbe?
Per me, i veri artisti sono ancora ‘artefici’. La radice della parola arte è sanscrita e significa ‘fare’, indicando la capacità di creare qualcosa di utile in senso pratico, attraverso ingegno, manualità, sapienza e artigianalità. Certo, non tutte le forme d’arte richiedono talento manuale, ma chi si avvicina a questa dimensione, creando qualcosa di significativo e con un senso profondo, incarna il significato originario dell’essere artista. L’arte deve comunicare. Oggi, però, spesso è percepita come effimera o decorativa: al netto del fatto che anche la funzione decorativa è comunque una funzione pratica. Un tempo, l’arte aveva il compito di comunicare perché ne esisteva una necessità profonda; oggi questo bisogno si è affievolito, in quanto esistono altri potenti mezzi di comunicazione, come la televisione, internet e i social. L’arte non è più il principale veicolo di trasmissione di idee e significati, ma ciò non significa che abbia perso la sua essenza.
continua…