In ogni paese che si rispetti esistono leggende legate alle presenze di esseri straordinari, solitamente abitanti nei boschi o in quelle zone di territorio poco urbanizzate che l’uomo condivide con la natura ed il mistero. Spiriti, spettri, ma anche gnomi, e fate. Già nell’antichità, i greci e latini immaginavano la presenza di satiri e ninfe, raffigurazioni maschili e femminili di esseri appartenenti ad un modo parallelo che, usufruendo ognuno di un particolare potere, interagivano con gli uomini, determinandone, se non il loro destino, il loro rapporto con la vita nei campi o nelle attività lavorative. Inutile dire che i popoli conquistatori fondevano le loro credenze con quelle già presenti sul territorio, dando vita ad una fusione di usi e credenze, assorbite e rigenerate anche dalla definitiva vittoria del cristianesimo sulle culture precedenti. Ho già affrontato una volta il discorso riguardante quegli esseri locali, un po’ subdoli e sfuggenti, chiamati baffardelli, che altro non sono che la versione lunigianese degli gnomi. Esiste però un’altra leggenda, altrettanto affascinante e particolare, che viene tramandata nelle piccole frazioni di Bibola e Vecchietto nel comune di Aulla. “Vecchietto è isolato fra i monti e lo sovrasta il monte Porro, o monte di Pov(e)ro secondo gli abitanti del paese, e questa posizione ha dato origine ad altre leggende. Una di queste racconta che sulla cima del monte Porro esiste una grotta gigantesca dentro la quale stanno le Donaneghe, strano nome con il quale si ravvisano streghe o grandi donne dalle enormi garfie (unghie) che fanno i panigacci. Queste grotte esistono realmente sul monte Porro ed hanno una notevole ampiezza”. Così raccontava nel 1972 ed ancora continuava “Le streghe Donaneghe, erano donne dalle unghie lunghe e sporche che vivevano sui grotti del Monte Porro rapivano i bambini che si avvicinavano troppo e depredavano i contadini dei loro prodotti. Le streghe però erano a tratti buone, dal loro insegnamento si deve la ricetta delle focacette aullesi, le streghe combattevano una guerra sfiancante con gli sciamani che vide quest’ultimi vincitori, sopravvisse solo la bellissima Lunaria, I cui grandi occhi verdi ci osservano ancora nel bosco.” La presenza di fate o streghe nei boschi, sicuramente non nuova nell’immaginario mondiale, era conclamato anche nelle zone circostanti, infatti sono note storie simili ad Antona, località sopra Massa, dove nella Grotta la Gronda esistono le pericolose Donnedonnare che rapiscono i bambini. Ancora, in una zona al confine tra Aulla e Fosdinovo c’è la Tana D’la Donanga, a Montignoso esistono le streghe di Monte Groppo e, in località Altagnana, sono note le fate di Berticagnana. Queste creature, a volte benigne, a volte malevole, sembrano avere la facoltà di poter premiare o punire le azioni delle persone, ma, soprattutto, le mettono in guardia da alcuni pericoli. Le cave e le grotte sono sempre state zone intermedie tra il bene ed il male, tra salvezza del riparo e pericolo dell’invisibile. Il nome “donaneghe”, del tutto inusuale, sembra derivare dall’unione di due termini: “dona”, che nel dialetto locale è il plurale di donna e “Anguis” traducibile in serpente quindi dea dei serpenti dalla quale proviene Angizia, la grande Madre o dea Bona. Il termine più preciso sarebbe donna fata, nome che calza a pennello, se andiamo a ricercarne il significato più recondito. Il nome fata deriva infatti dall’altro nome delle “Parche”, le divinità greche collegate al destino dell’uomo, che è fatae, ovvero quelle che presiedono il fato. Le Parche erano tre dee alle quali Zeus aveva affidato le sorti di ogni singolo uomo, si chiamavano Cloto, Làchesi e Àtropo: la prima filava il filo della vita, la seconda dispensava i destini, la terza tagliava il filo della vita al momento stabilito. Se però qualcuno le faceva arrabbiare, potevano aggrovigliare il filo in modo da rendere la vita del malcapitato alquanto problematica. Nelle vicine Lucchesia e Garfagnana esistono leggende secondo le quali, vicino alle rupi alpestri è possibile vedere dei riflessi bianchi al sorgere del sole, che sarebbero le bianche vesti delle Parche stese ad asciugare al sole. Le Donaneghe, tuttavia, erano abbastanza dispettose ed una variante del loro mito dice che, se qualcuno le faceva arrabbiare, rispondevano tirando focaccette in faccia ai malcapitati. Per chi volesse levarsi la curiosità e volesse incontrarle, specialmente in estate, vengono organizzate delle escursioni che, partendo dal castello di Bibola, ripercorrono un sentiero in mezzo ai boschi, durante il quale, oltre a poter osservare alcune rocce legate alla loro leggenda, si possono godere bellissimi scorci della valle sottostante.
Non garantisco l’incontro, ma una bella giornata tra natura e leggenda, sì.