foto di Silvia Meacci
Benché la primavera sia da poco arrivata, non ci concede giornate troppo soleggiate. Anzi. La pioggia incessante ci ha costretto in casa e pare di essere in uno stentato autunno. Per tirarmi su ho deciso di preparare gli ossibuchi. Mia madre li cucinava alla milanese, erano ottimi. Seguiva passo passo la ricetta ed era molto fiera della sua “gremolata”, il trito di prezzemolo, aglio e scorza di limone. Non li serviva però con il riso allo zafferano, né probabilmente curava tutti i dettagli di quel simbolo di milanesità che è l’ “òs büüs” le cui prime tracce si trovano nel libro di Giuseppe Sorbiatti del 1879, “Il memoriale della cuoca”. Io voglio cimentarmi nell’ossobuco alla fiorentina che ha origini meno antiche. Negli ultimi anni l’ho gustato a Firenze in diverse trattorie. Quello ricoperto da un bello strato spesso di salsa rossa, per intenderci. Ottimo alla “Trattoria dell’Orto”, a “La Buchetta”, ma il mio preferito è quello di “Al Tranvai” in piazza Tasso. Da perderci la testa. La carne si scioglie letteralmente in bocca, la salsa titilla le papille, spingendomi a fare la scarpetta col pane sciapo di cui soprattutto in momenti come questi capisco l’essenza. E a ogni boccone un bel gozzo di vino rosso. La ricetta prevede una cottura lunga che riesce ad ammorbidire il taglio di carne bovina di terza scelta con cui si realizza, il “geretto”. Tante fibre muscolari intorno a un osso forato e il midollo all’interno. È la parte superiore della zampa, vale a dire lo stinco anteriore o il posteriore. Quest’ultimo è ancora più tenero e più ricco in midollo, alimento proteico che apprezzo finché regala alla carne un gusto delicato ma deciso dopo essersi parzialmente sciolto in cottura. In genere si raccoglie dall’osso con il cucchiaino e lo si gusta da ultimo, come si fa con il boccon del prete. Invece io, ecco, mi sento in difetto perché ogni volta devo confessare a me stessa e agli altri, che non lo amo in purezza.

Nonostante questo voglio preparare gli ossobuchi e annusare nell’aria l’odore del soffritto e della carne che cuoce a lungo. Per ogni persona è consigliabile una porzione di circa 300 grammi, di tre o quattro centimetri di altezza, e a questo ci ha pensato il macellaio. Sono necessari alloro, cipolla, olio, farina e pomodori pelati, poi un po’ di vino bianco per sfumare, sale e pepe. Pochi ingredienti, molto semplici, molto espressivi del territorio. Un accorgimento è incidere la pelle esterna degli ossibuchi così che in cottura non si arriccino ed è bene anche batterli delicatamente. Ho utilizzato il mio grande tegame in cui ha messo l’olio d’oliva e qualche foglia d’alloro. Ho fatto soffriggere le cipolle ( non sarebbero male anche carote e sedano ) e poi le ho tirate via dal tegame. Al loro posto ho fatto dorare da entrambi i lati la carne infarinata a fuoco vivo. Al momento giusto ho sfumato col vino bianco e poi ho riaggiunto le cipolle e anche i pelati tritati. Ho mandato tutto a fuoco lento per un’ora. La carne è risultata morbidissima e la salsa densa, polposa e invitante. Ottima con il purè.
Buon appetito.