Per la gioia di chi ancora si diverte a cercare metodi alternativi per raggiungere vette di estasi altrimenti inarrivabili con il semplice uso della mente, è saltata di nuovo fuori una notizia secondo cui gli Egizi, il primo popolo civilizzato della storia, facevano uso di espedienti che oggi ci costerebbero come minimo la sospensione a divinis della patente. L’Huffpost, nel novembre dello scorso anno, ha infatti rivelato che questo antico popolo, costruttore di piramidi, sfingi, templi e statue colossi era anche un consumatore di sostanze psicotrope al fine di raggiungere un contatto diretto con gli dei. Prendendo forse un po’ troppo sul serio questo tema, nel 1992, durante le celebrazioni per il 500° anno dalla scoperta dell’America, un team di ricercatori tedeschi dell’Institut für anthropologie und humangenetik dell’Università di Monaco di Baviera, guidati da Svetlana Balabanova, col perfido fine di dimostrare contatti transoceanici tra Egizi e popolazioni americane, affermò di aver trovato tracce di cocaina e delta-9-tetraidrocannabinolo in alcuni resti mummificati, per la precisione due teste femminili, cinque maschili e tre corpi, di cui uno solo completo maschile. Proprio quelle tracce di THC, arbitrariamente accostate alla marijuana, fecero sorgere il dubbio che qualcosa non tornasse ma, per assopire ogni critica come prova documentale fu citato un passo del cosiddetto papiro di Ebers del 1500 a.C. circa, nel quale si fa un vago ed ancor più dubbio riferimento all’uso di semi di papavero per calmare i bambini. La Balabanova non fece un collegamento diretto tra gli sfattoni egizi e le navigazioni transoceaniche. Tuttavia, quel pensiero prese forma qualche anno dopo quando, sulla base di questi studi, fu pubblicato un documentario dal titolo “The curse of the cocaine mummies”. A rincarare la dose ci pensarono altri studi emersi subito dopo, nei quali diversi scienziati avevano evidenziato tracce di cocaina, cannabis e nicotina (perchè fu trovata anche quella) sulla mummia di Ramses II(1985), addirittura nel 1979 venne pubblicato un articolo sulla rivista Anthropological Journal of Canada nel quale si sosteneva che era comune trovare tracce di nicotina sulle mummie egizie. Le critiche piovvero come una delle ormai note bombe d’acqua che avvengono con disarmante regolarità in questi anni: venne denunciata una mancanza di metodologia nell’effettuare queste analisi, insieme ad una molto probabile contaminazione dei reperti senza contare che la presenza di THC, fosse stata arbitrariamente attribuita a sostanze che in quel contesto non c’entravano nulla. La Balabanova non si diede per vinta ed affinò gli studi, esaminando resti mummificati in tutto il mondo, trovando droghe praticamente ovunque, un po’ come il povero Fantozzi che trovava pane dappertutto. Venne trovato su 72 mummie peruviane, 11 egizie, 2 scheletri sudanesi e le ossa di 10 individui europei vissuti 4.000 anni fa, insieme alla onnipresente nicotina, perchè come ogni ragazzaccio che si rispetti sa, per farsi le canne un po’ di tabacco bisogna mettercelo. Per rincarare la dose, la direttrice degli studi affermò che già nel 1931 furono trovati, nella mummia di Tutankhamon, dei coleotteri del tabacco. A smentire definitivamente queste teorie ci pensò Edda Bresciani, direttrice dell’Istituto di scienze storiche del mondo antico dell’Università di Pisa che in un’intervista dichiarò: “Fare analisi su pezzi di mummie, chiusi in un laboratorio, forse deve essere molto deprimente… e così, una sniffatina o una fumatina possono aiutare”. Ma allora gli Egizi erano un popolo retto o no? In realtà, così come in tante altre culture, anche loro usavano sostanze per viaggiare con più facilità, giusquiamo (Hyoscyamus muticus L.), birra di dattero, di orzo e di melagrana, vino di palma e d’uva, semi di ruta siriaca (Peganum harmala), e una specie di lattuga. La ninfea egiziana (Nymphaea caerulea) ha proprietà narcotiche, mentre la Mandragora è arcinoto che faccia vedere i draghi. Per concludere, sono noti alcuni riti riconducibili a Bes, il “dispensatore di sogni” o “dispensatore di oracoli” durante il quale, entrati in una speciale sala del tempio di Saqqara, si sperava di raggiungere l’empireo, ove dimorava il dio prescelto, ingurgitando un intruglio alcolico fermentato composto anche da: lieviti, grano, semi di sesamo, frutta (forse uva), miele e “fluidi umani”: forse latte materno, muco orale o vaginale e sangue.

Visto che stanno tornando in voga questi antichi rituali abbinati a credenze new age, suggerisco ai neo adepti di leggere la ricetta prima di bere oscuri elisir dal dubbio contenuto. A ognuno il suo rituale. Io preferisco continuare a bere il vino, voi non so.