prima parte
L’intervista alla pittrice Holly Melia sarà una chiacchierata tra amiche che condividono, oltre al godere della bellezza dell’arte, il piacere di trascorrere del tempo in passeggiate immerse nelle meraviglie di un territorio conosciuto in tutto il mondo: il Chianti.
Holly, partiamo dal Chianti per fare un viaggio dentro la tua arte: tu sei nata in Irlanda, ma vivi a Bricciano, un piccolo borgo situato su di una collina a pochi chilometri da Gaiole, cosa ti ha portato a vivere qui?
Con la mia famiglia venimmo la prima volta nel 1972. Noi vivevamo a Dublino e la situazione politica in quegli anni era veramente particolare e mia madre aveva paura. Io avevo due anni e mia sorella, Poppy, quattro più di me. Un’artista, Barry Castle, amica di mia madre, e suo marito Philip Castle, artista anche lui, avevano una casa a Bricciano, era una casa molto “semplice”, non c’era acqua corrente e neanche l’elettricità. Partimmo da Dublino in macchina e viaggiammo finché non arrivammo qui, così mi hanno raccontato perché non ho nessun ricordo, in quanto ero veramente piccola. Arrivammo a febbraio e rimanemmo per tutta la primavera. I miei genitori si innamorarono di questo posto e acquistarono una casa, quindi, durante l’estate ci venivamo in vacanza. Usavamo l’acqua del pozzo e per lavare c’erano i lavatoi di Barbischio e di Lecchi.
Finché il Chianti è diventato la tua terra adottiva…
Sì, nel 1991 feci un giro per l’Europa insieme a un’amica, ultima tappa, dopo la Grecia, fu l’Italia, e avendo casa,la venimmo a Bricciano dove conobbi Luca, quello che poi è diventato, mio marito. Dopo due settimane rientrai in Irlanda, e iniziai a fare spola fra Dublino e Bricciano, finché nel 1992 arrivai per stare tre mesi che sono diventati molto di più.
E nel Chianti hai proseguito il tuo percorso artistico, inizialmente alle ceramiche Rampini …
Sì, ho lavorato alle ceramiche Rampini per cinque anni, facevo un part-time verticale in modo da dedicarmi nei giorni liberi alla pittura. Poi nacquero Chiara e Giada, così decisi di lasciare il lavoro per dedicarmi a loro e alla mia grande passione: la pittura. In quegli anni ho fatto alcune mostre qui nel territorio, in Irlanda e a Parigi.
Dove ti sei formata artisticamente?
Diciamo che ho masticato pittura fin dalla nascita: mia madre, Pauline Bewick era pittrice, motivo per cui a 17 anni lasciai Kerry, che si trova nel sud-ovest dell’Irlanda, dove vivevamo con la mia famiglia, per andare al National College of Art Design, NCAD Dublin. All’inizio seguii più corsi, ma non pittura; dopo il primo anno chiesi una sospensione, che mi fu accordata, per poter seguire mia madre insieme a mia sorella nel sud Pacifico, e coronare un sogno che lei coltivava da tempo e così partimmo per un viaggio che fece diverse tappe. Io rimasi con lei per un anno intero, mia sorella per sei mesi. Mio padre, Patrick, venne con noi il primo mese, e a metà anno tornò per un altro mese ancora. In quel periodo mia sorella frequentava l’ultimo anno della stessa università che frequentavo io, ed entrambe io ci preparammo per fare la nostra prima mostra a Dublino.
Quindi la tua prima mostra fu con opere che facesti là: è cambiato qualcosa nel tuo linguaggio artistico da quando iniziasti a dipingere in quei luoghi?
Ero molto giovane, avevo appena venti anni, certo un’evoluzione c’è stata, però ho sempre dipinto, e tuttora dipingo, i miei soggetti molto ravvicinati.

Vuoi dire che il soggetto è molto presente?
Sì, spesso non entra nella tela. L’idea iniziale, magari, non è proprio quella, l’intento è quello di voler fare un paesaggio e gli animali ritratti nella loro interezza, ma poi qualcosa cambia.
Da cosa nasce questa esigenza?
Sento l’animale. Ho una grande passione per gli animali, quindi quando inizio a dipingerli mi piace sentirli vicini, metterli in risalto.

Tu hai anche una tecnica particolare..
Ho sempre usato gli acquerelli, forse influenzata da mia madre che li usava, anche se il modo in cui li uso non è quello tradizionale, tanto che molti mi chiedono per quale motivo non usi il colore a gouache, che è invece la tecnica che usa mia sorella. Ho provato, sono belli, ma non mi piacciono perché sono opachi, anche se io uso l’acquerello in modo molto pesante in confronto a come dovrebbe essere usato. Qualche volta uso lo gouache per necessità, ma sempre mischiato all’acquerello.

Vedendo i tuoi quadri, ciò che colpisce è la brillantezza che spicca in maniera importante. In ogni linguaggio artistico, qualunque esso sia, c’è l’impronta della personalità dell’artista. Questa brillantezza è evidente, è forte. Hai consapevolezza di questo?
“Ni”, non avevo mai fatto mente locale a questo che mi stai dicendo, però è vero, mi piace dare tanto colore, tanta brillantezza come tu hai detto: non ci penso, mi viene naturale. Dopo essere tornata dal sud Pacifico, feci il corso di vetro soffiato che scelsi al posto di pittura, questo perché il modo in cui dipingevo era, per alcuni professori, un po’ troppo felice. Io amavo le cose belle e quindi dipingevo cose che mi allietavano, mentre loro volevano che facessi cose più profonde, tipo la sofferenza. Io non volevo cambiare la mia espressività artistica, forse era proprio quella brillantezza alla quale ti riferisci, e quindi scelsi vetro soffiato, che mi piacque molto. Avrei voluto proseguire con la scultura del vetro soffiato, e all’inizio feci alcuni lavori, purtroppo con l’andare del tempo si dovevano fare cose più tecniche che trovavo noiose, perciò smisi, anche perché avevo fatto quel viaggio durante l’estate in cui conobbi Luca, così dissi a mio padre che desideravo venire in Italia per fare dei corsi di pittura e per imparare l’italiano. Per un po’ frequentai l’università per stranieri a Siena, poi la vita mi ha portato a fare altre scelte.
Quanto dell’Irlanda c’è nei tuoi quadri e quanto del Chianti?
Io divido il mio percorso artistico in tre fasi: tropicale, irlandese e italiano. La mia tecnica è sempre quella, anche i soggetti sono pressoché invariati, dato che mi ispiro sempre alla natura, compresi gli animali legati ai territori che ti ho appena detto. Raramente faccio il corpo umano, ho dipinto il Palio con i fantini.

C’è un quadro, che fra l’altro è l’immagine riprodotta nelle etichette delle bottiglie del vostro olio, che ricorda Van Gogh, come altre tue opere, ti è stato detto?

Sì, anche altri hanno fatto questa considerazione, sebbene io non abbia mai copiato. Quando ero più giovane c’era un’artista che si chiama Georgia O’Keeffe, che faceva quadri molto simili ai miei, con dei fiori enormi, analogamente a come dipingevo i fiori io, molto ravvicinati tanto da vedere l’interno, però io lo facevo senza aver visto i suoi lavori, solo dopo, quando conobbi le sue opere, dissi che mi piacevano, forse perché la sentivo più vicina a me.
Questo significa che non sei stata influenzata da lei, ma c’è stata una figura che forse ha influenzato la tua espressività artistica.
Indubbiamente, mia madre. Fin da piccola dipingevo vicino a lei, ma a distanza. “Don’t wobble the table!” diceva, “non scuotere il tavolo”, per paura che facessi danno, quindi mi mettevo con il foglio in terra e cercavo di rifare i suoi quadri. Quando poi fui più grande iniziai a dipingere con il mio stile. Avevo in casa libri di artisti famosi e noti, ma non ho mai aspirato di arrivare al loro livello e non ho mai copiato le loro opere. Io ho iniziato a dipingere perché mia madre lo faceva.

continua…