prima parte
Diari Toscani incontra la pittrice Sandra Zeugna, nata a Trieste, vive a Monfalcone da quindici anni.
Sandra, quando ha iniziato a dipingere?
Nel modo in cui dipingo adesso a 25, 30 anni, più o meno; prima copiavo e disegnavo tanto, dando un’interpretazione personale a quello che vedevo, una passione che ho coltivato fin da bambina. Con l’andare degli anni ho sperimentato tante tecniche poi, circa 25 anni fa, entrai in un laboratorio per cercare di colmare le mie lacune di autodidatta e qui imparai molte cose, soprattutto mi insegnarono ad andare nel sentire più che nel vedere, aprendomi così a un mondo nuovo, quello dell’informale.
Com’è nata l’esigenza di dipingere opere che andassero oltre le copie e che fossero frutto del suo lavoro?
Anche il copiare è sempre frutto del proprio lavoro, della propria forma espressiva. Se due o più artisti copiano uno stesso soggetto, la scrittura non sarà mai uguale, ognuno avrà la propria impronta, la colorazione delle proprie emozioni e rimarrà un lavoro unico. Diciamo che andando nel mio sentire ho potuto dare un’interpretazione personale, una vita a qualcosa che era ed è di tutti.

Se dovesse definire la sua pittura…
È una domanda che mi hanno fatto più volte, come collocazione storica possiamo parlare di informale e astratto, personalmente, essendo un animo ribelle, non amo definirmi. Ho abitato in una città di mare, quindi vedevo il cielo e il mare che cambiavano continuamente e queste mutazioni hanno cominciato a incuriosirmi. Ciò che ho fatto è stato dare voce alle emozioni che sorgevano in me grata alla natura che me le metteva a disposizione.
I suoi quadri mi hanno suscitato un particolare interesse, e desidero saperne di più per riuscire a capire cosa c’è “dentro” quelle immagini e vorrei andare per punti. Perché la scelta di quella tecnica e di quei colori?
Io uso il carboncino fin da quando ho iniziato a disegnare, ho disegnato tanto e ancora adesso disegno e copio perché questo mi aiuta a interiorizzare e a descrivere quello che sento. Il carboncino è immediato, lascia la libertà di fare ciò che più mi aggrada: disegnare, cancellare, sfumare. Per la pittura uso gli acrilici sempre perché ho bisogno della velocità, ho usato anche l’olio e ho fatto svariati lavori, ma il bisogno di immediatezza mi ha portato ad usare gli acrilici. L’emotività è talmente veloce che devo descriverla con la stessa velocità. Tutte le nuance che uso sui rosati, sui grigi, o dei chiari sono i colori che ho sempre visto fin da bambina nel cielo della mia città, Trieste, ed essendo una città di mare, spesso vedevo i suoi repentini cambiamenti e le sue turbolenze, non uso colori che io non abbia visto: o sono del mare o sono del Carso, entrambi molto vicini a me e, seppure possono essere ripetitivi, sono parte di me.

Nelle sue opere ho ravvisato una poetica, e lei me la sta confermando con quanto ha affermato finora: una poetica che è strettamente legata alla tecnica di esecuzione e alle sue intenzioni espressive, c’è una ricerca anche di note poetiche nei suoi quadri?
Sì anche, ma non solo. C’è un contrasto di emozioni: passione, desiderio, forza, tensione, dolore, paura, tristezza, malinconia. Insomma la vita con ogni suo volto, ogni suo canto, ogni sua voce, ogni sua atmosfera.
Chi è il soggetto nei suoi dipinti?
Essendo molto riservata ci sono cose di cui non desidero parlare, appartengono alla mia sfera privata. Oltretutto penso che le turbolenze nella vita le abbiano avute tutti quindi non è necessario raccontare le mie. Diciamo che la parte grafica della mia arte è improntata su ciò che le dicevo prima, sul mio percorso del disegno che ho iniziato da bambina. La natura per me è sempre stata fonte di grande interesse e curiosità in quanto abitavo in campagna, e vicino avevo il mare, quindi le mie parti descrittive hanno delle fondamenta tratte dalla natura in ogni sua forma espressiva. Di solito uso due entità perché per me c’è un dialogo continuo tra quello che siamo qua e quello che è al di là. Può sembrare riduttivo, ma il mio è un dialogo continuo.
continua…