foto di Silvia Meacci
Da bambina contavo i fagioli che avevo nel piatto. Lo facevo con i cannellini lessati e conditi con l’olio e speravo nella buona sorte: se erano in numero pari, avrei avuto fortuna. Odiavo i numeri dispari e poi mi dava soddisfazione contarli. Giocavo da sola, in silenzio. A volte coinvolgevo mio padre quando mangiavamo i fagioli con l’occhio. Lui ne andava pazzo e pure a me piacevano tanto, più di ogni altro tipo. L’ho sempre detto che sono un’anima antica dai gusti retró. Perché? Perché il fagiolo con la macchietta nera, Vigna unguiculata, originario dell’Africa, è stato coltivato fin dai tempi dei Greci e dei Romani e consumato abbondantemente anche nell’epoca medievale. Attualmente sopravvive solo in alcune parti d’Italia, Toscana, Puglia, Veneto. Dall’America invece giunsero i ben più grandi fagioli andini che nella nostra penisola trovarono molti estimatori a partire da Papa Clemente VII (Giulio Zanobi di Giuliano de’ Medici ) che li divulgò dopo averli ricevuti in dono da Carlo V e assaggiati in una zuppa. Il pontefice a sua volta li regalò alla nipote Caterina de’ Medici che li portò in Francia con sé, introducendoli a corte. Da bambina non ero a conoscenza della storia dei fagioli, né dell’esistenza di un quadro, Il mangiafagioli, che ritrae un umile ma dignitoso lavoratore davanti a un piatto di fagioli. È di Annibale Carracci e risale approssimativamente al 1580. E conoscete il detto: “Fiorentin mangiafagioli leccapiatti e romaioli”? “Mangiafagiuoli è un termine utilizzato soprattutto in blasoni popolari riferiti ora all’una ora all’altra regione o città (in particolare ai fiorentini) e per estensione sta a indicare una persona di costumi e gusti grossolani, volgari” così spiega il dizionario Treccani. Alcuni tuttavia sostengono anche che l’appellativo alluda al fatto che i fiorentini mangiavano i “fagioli di gallo”, i testicoli, piatto prelibato e di lusso, anche utilizzati per preparare il Cibreo che, confesso, io non ho mai assaggiato. I legumi però li amavo. Mia madre li preparava spesso anche all’uccelletto e quando li mangiavo così, con il pomodoro, non li contavo perché era impossibile. La ricetta prevede una cottura lenta, che li fa sfarinare. Pare che il nome originale fosse “Fagioli all’uccelletto scappato”. Un piatto povero senza la carne. L’ironia toscana.
Pellegrino Artusi alla ricetta n°384 de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” ne descrive la ricetta chiamandoli “Fagiuoli a guisa d’uccellini”. Secondo lui il nome deriva dalla presenza indispensabile della salvia utilizzata anche per cuocere la cacciagione allo spiedo. Per preparare un bel piatto di fagioli all’uccelletto si scalda in padella dell’olio con una generosa dose di salvia e uno spicchio d’aglio. Subito si aggiungono i fagioli bolliti. Devono soffriggere per almeno cinque minuti affinché gli aromi si diffondano e penetrino gli uni negli altri. Ci vuole una ottima passata di pomodoro da aggiungere. Si lascia “cuocere” il tutto ancora per una quindicina di minuti, aggiustando di sale e pepe.
Si spegnerà il fuoco solo quando il pomodoro si sarà amalgamato bene allo polpa sfarinata di una parte dei fagioli, tanto da avere una salsina cremosa e rossiccia, di color ruggine Pantone. Ottimi, soprattutto se i fagioli li avrete lessati voi dopo averli tenuti in ammollo. Sono perfetti da mangiarsi con salsicce di maiale. Buon appetito!