foto di Silvia Meacci
A base di pane raffermo esclusivamente “sciapo” e tante verdure tra cui gli indispensabili cavolo nero e cannellini, è perfetta per l’autunno e ottima in pieno inverno dopo le gelate di stagione, quando il cavolo è ancora più saporito. La minestra di pane è sostanzialmente composta da strati di minestrone adagiato su fettine di pane insaporite con pepe e olio d’oliva, mentre la ribollita è una minestra di pane riscaldata, magari in padella, oppure direttamente ottenuta in una pentola di coccio con pane raffermo spezzettato e aggiunto al minestrone. Il tutto viene cotto e ricotto fino a raggiungere una consistenza pastosa. La ribollita si mangia con il cucchiaio ma non è liquida. È sicuramente un piatto povero, come molti di quelli toscani, in cui viene riciclato il pane ormai troppo duro. Difficile stabilirne un’origine temporale specifica. Interessante però citare una ricetta contenuta nel libro “Epulario e segreti vari. Trattati di cucina toscana nella Firenze seicentesca” di Giovanni Del Turco, appassionato di gastronomia presso la corte di Cosimo II de’ Medici. “Prendi due o tre cipolle grosse e nettale dalla prima scorza et così intere mettetele in una pignatta d’aqqua che non sia piena affatto, acciò poi vi si possa mettere il cavolo et in quella pignatta metti come si è detto le cipolle, olio et sale e lasciale cuocere bene et una ora avanti a desinare vi metterei a cuocere il cavolo et poi si mandi a tavola con fette di pane sotto”. Anche Pellegrino Artusi inserisce nel suo manuale “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene“ una “Zuppa toscana di magro alla contadina”. “Sono persuaso che sarà gradita da tutti, anche dai signori, se fatta con la dovuta attenzione”.

“Ingredienti
Pane bruno raffermo, di pasta molle, grammi 400.
Fagiuoli bianchi, grammi 300.
Olio, grammi 150.
Acqua, litri due.
Cavolo cappuccio o verzotto, mezza palla di mezzana grandezza.
Cavolo nero, altrettanto in volume ed anche più.
Un mazzo di bietola e un poco di pepolino.
Una patata.
Alcune cotenne di carnesecca o di prosciutto tagliate a striscie”.

A proposito di cotenne, mia madre ce le metteva sempre. Quelle del prosciutto. Quando da bambina le trovavo nel piatto la mia reazione era tra il diffidente e il curioso. Immagino di aver imparato ad apprezzarle con il tempo perché mi ricordo che da ragazzina facevo con mio padre una sorta di gioco in cui vinceva chi trovava almeno una cotenna nella sua porzione o chi ne trovava di più. Ne amavo soprattutto la consistenza callosa. Un’altra cosa che mi vedeva scettica era l’uso di mangiare la ribollita accompagnata da fettine di cipolla fresca, la cui croccantezza e freschezza piccante, in un gioco di consistenze e sapori, ben si adattano al piatto. Solo più tardi ho imparato ad apprezzarla. La minestra di pane io me la ricordo in certi pic nic organizzati da mia nonna, che aveva origini pistoiesi. Preparava una zuppiera enorme di ribollita utilizzando, credo, le ultime foglie primaverili del cavolo nero. Rammento ancora la tovaglia che abbracciava e proteggeva l’enorme ciotola coperta da un grande piatto. Mia nonna la tirava religiosamente fuori dalla cesta di vimini fino al tavolino da campeggio, snodava i lembi e svelava la minestra di pane in tutta la sua varietà di verdure. Solo la grande zuppiera era di ceramica elegante, i piatti erano di plastica dura e rossa rossa. Usavamo un set composto da tanti pezzi, tutti dello stesso colore. Era l’Italia degli anni settanta. Alla minestra di pane seguivano zucchine ripiene, uova sode, affettati, olive e pecorino. E mentre noi piccoli, dopo aver ingurgitato brigidini e biscottini, scorrazzavamo alla ricerca di folletti, i grandi bevevano il caffè caldo servito dai thermos di metallo a fiori gialli, verdi e rossi. Sorrido e rifletto sull’etimologia del termine pic nic. Ha origine da “piquenique”. In francese arcaico “pique” e “nique”, rispettivamente “prendere, sgraffignare” e “cosa di poco valore”. Si alludeva al fatto di sottrarre dalla cucina qualcosa di pratico e maneggevole per consumarlo velocemente all’aperto. I nostri picnic non erano così frugali, ma è risaputo che noi italiani in fatto di cibo non ci limitiamo mai.