“Ma ‘ndo vai, se la banana non ce l’hai? Bella hawaiana attacchete a ‘sta banana” sono i famosissimi versi di una canzone che Alberto Sordi cantava insieme a Monica Vitti nel film “Polvere di Stelle” del 1973. Sono passati ben 51 anni da quando li abbiamo sentiti per la prima volta, eppure, mai come oggi, sembrano essere più attuali e lo scrivo dopo aver sentito la notizia che sta circolando da qualche giorno sui giornali di mezzo mondo. Il semi anonimo miliardario cinese Justin Sun, fondatore della criptovaluta Tron, dopo aver comprato dalla casa d’asta Sotheby’s di New York la famosa opera d’arte di Maurizio Cattelan intitolata “Comedian”, per il valore di 6,2 milioni di dollari, se l’è letteralmente mangiata in un albergo di Hong Kong davanti ad un nutrito gruppo di fotografi e giornalisti. In che senso? Nel senso che l’installazione artistica consisteva in una banana attaccata ad un muro bianco con l’ausilio di uno spesso nastro adesivo grigio. A questo punto mi è subito tornata in mente la scena di un altro memorabile film in cui, un Roberto Benigni veramente ispirato, gridava all’interno di un teatro “Ma quanto costano le banane a Palermo?”. Se lo sono chiesi in tanti, a dire il vero, ed un giornalista ha scoperto che, per ottenere la risposta è bastato uscire dalla casa d’aste e recarsi ad un chioschetto di frutta nell Upper east Side di Manhattan, gestito dal settantaquattrenne Shah Alam originario del Bangladesh: “35 centesimi di dollaro” è stata la risposta. L’opera infatti, se così vogliamo chiamarla, prevede che la banana sia sostituita quando la precedente diventa marcia per cui l’artista o chi per esso, aveva già provveduto a comprare le “ricariche” dall’inconsapevole Alam il quale, sentendo il valore che aveva acquisito il frutto, si è lasciato scappare un commento direi un po’ sconfortante: “È assurdo pagare la stessa banana 6,2 milioni di dollari” : e come dargli torto!

Ripartiamo però proprio da questa considerazione, ma davvero una banana appiccicata ad un muro può essere considerata un’opera d’arte degna di tanto sperperio di soldi? Il critico d’arte del New York Times Jason Farago ha provato a darne una spiegazione a noi comuni mortali, sottoponendoci un intrigante quesito: “E quindi, è arte? Questa banana non è soltanto una banana ed è anche un contorto commento sulla sessualità maschile, sulle monocolture genetiche o sulla geopolitica centroamericana? […] Lasciate che vi rassicuri, non siete degli ottusi conformisti se trovate tutto un po’ fuori di testa. La follia e la sensazione avvilente che una cultura che un tempo incoraggiava la bellezza sublime e che oggi permette solo giochetti ebeti sono gli strumenti da lavoro di Cattelan. Forse apprezzerete meglio il suo lavoro se considerate due cose: una formale, una sociale”. Sulla questione formale, posso riassumere il pensiero del critico dicendo che in fondo Cattelan lavora così, provocando e facendo riflettere l’utente finale. L’ha detto lui e possiamo anche prenderlo per buono e riguardo al sociale continua: “La sua intera carriera è un manifesto sul desiderio impossibile di creare arte in modo sincero, districandosi dal denaro e dai suoi stessi dubbi”. Lo dice mettendo a confronto Cattelan con un altro famoso ma più misterioso artista contemporaneo, l’imprendibile Banksy che ebbe il coraggio di raffigurare la compravendita di un quadro accompagnandola con la scritta “Non posso credere che voi coglioni compriate questa merda”. L’arte che si fagocita e si autoalimenta se, facendo un piccolo passo indietro nel tempo, ripensiamo alla più famosa “Merda d’artista” di Piero Manzoni. Se poi andiamo a vedere, la performance del ricco cinese, non è nemmeno originale perché già altri hanno compiuto il gesto di mangiarsela, vedi l’epico gesto del poliedrico David Datuna che, in visita alla fiera di arte contemporanea Art Basel Miami, all’interno della quale era esposta una delle tre copie dell’istallazione, si è fatto immortalare davanti alle telecamere dichiarando che in realtà anche la sua era una performance dal titolo “Hungry artist” cioè “artista affamato”.
Giusto per fare un po’ di chiarezza, dell’opera ne sono state fatte, come detto, ben tre copie del valore di circa 120 mila dollari l’una, l’ultima delle quali è stata poi innalzata agli altari della notorietà grazie al Tycoon cinese. Sembra che ad ispirare l’artista sia stata la battuta di un personaggio della serie tv Arrested Development, Lucille Bluth, sui “ricchi che non sanno quanto costa una banana”. Ognuno di noi può fare il commento che vuole, sia su quanto sia decaduto il concetto di arte al giorno d’oggi, sia su come, davvero, fuori dalle case d’asta ci sia gente che muore di fame mentre qualcun’altro si permette di bruciare milioni di dollari giocando col cibo. Qualcosa del genere accadde qualche anno fa quando una famosa coppia, poi scoppiata, di influencer italiani affittò per divertimento un supermarket giocando a tirarsi dietro degli alimenti per il solo gusto di sfoggiare con strafottenza la propria ricchezza, senza contare di quando si misero a distribuire soldi ai poveri gettandoli dal finestrino di una Lamborghini, ma questo è un altro discorso.
Io mi limito a pensare che, se mio padre fosse ancora vivo oggi, a questa notizia avrebbe suggerito sicuramente un uso alternativo della banana, lui che, avendo fatto la fame durante la guerra, preferiva dipingerle con grazia sulle sue tele. Sicuramente una forma di arte più rispettosa di chi, con 6,2 milioni di dollari, avrebbe dato da mangiare ad un sacco di persone.