foto di Silvia Meacci
Potrebbe essere un ottimo regalo di Natale, un vademecum prezioso perché ricco di molteplici spunti di riflessione sulla vita e sulla costruzione delle relazioni: “Manuale di un educatore in viaggio” di Martino Colicchio. È stato presentato a Firenze dalla giornalista Francesca Tofanari. Durante la conversazione, intrisa di concetti e di molto sentire, l’autore ha conquistato il pubblico per la sua spontaneità, passione e competenza. Nello scrivere il libro è partito da un percorso personale di crescita che, come un fil rouge, trapunta tutto il suo narrare. Parallelamente alle sue competenze professionali, emerge la sua sfera personale con i conflitti interiori che ha dovuto affrontare e risolvere. “Quanti disagi sono figli delle nostre paure, delle sensazioni e dei bisogni inespressi perché magari non trovano il giusto canale verso cui farli defluire. Anche il disagio può divenire un’opportunità – ha raccontato Colicchio Credo che lo si possa quasi sempre trasformare e se non si trova una via, la si fa, come diceva Annibale: Aut viam inveniam aut faciam”. Martino Colicchio ha spiegato di aver deciso di scrivere il manuale affinché la sua esperienza quotidiana di educatore diventasse conoscenza trasmissibile e fruibile. Senza mai mettersi in cattedra, fornisce ai lettori strumenti da aggiungere al loro bagaglio. Si rivolge tanto agli educatori quanto alle persone in generale, perché le relazioni educative sono vita, sono reciprocità. Insegnare è accompagnare e mentre lo si fa, come educatore o come parte in una relazione, si fanno passi avanti, si cresce. Martino Colicchio ha maturato esperienze lavorative come referente antibullismo alla scuola media, educatore domiciliare, insegnante di sostegno, ha lavorato con pazienti autistici e persone affette da Alzheimer. Per lui la globalità della persona è fondamentale. In ognuno va ricercata, indipendentemente dai blocchi o limiti, fisici o mentali, delle persone con cui si interagisce. “Non penso mai che le differenze siano totalmente irriducibili” ha detto l’autore. I “saperi nascosti” espressi dal pedagogista Paulo Freire sono quelli che l’educatore individua nel ragazzo per valorizzarli. Ognuno di noi è uno scrigno con diversi potenziali. Alcuni possono essere bravi a chiedere scusa, altri a socializzare. E sono caratteristiche da lodare. Colicchio con le sue parole vuole innescare un ragionamento: essere uguali nella diversità. Per esempio, tra bullo e vittima, che partono da una enorme divergenza, si può talvolta sviluppare, grazie al lavoro e all’apertura, un riconoscimento del dolore dell’altro e quindi giungere a un fondo comune. “Io scelgo di privilegiare l’educazione emotiva – ha aggiunto Colicchio – il sapersi relazionare viene prima, riuscire a vedere il dolore dell’altro, trovare un fondo comune, divertirsi senza offendere l’altro”. Perché la sua priorità è costruire una relazione, una base solida, e per farlo è necessario conoscersi, entrare in sintonia sia attraverso il gioco, sia con la parola e gli interessi comuni.
