foto di Giovanni Viaggi
Il caldo dà finalmente un po’ di tregua, per cui è ora di riprendere le passeggiate sui nostri monti. Poiché siamo rimasti fermi per una ventina di giorni, riteniamo opportuno ricominciare con qualcosa di comunque bello, ma non eccessivamente impegnativo: il Monte Freddone, un tempo conosciuto come monte Lievora, è quello che fa per noi. Si tratta di una bella montagna delle Apuane meridionali di quota non elevata, 1479 metri, ma dalla cui sommità si può godere di un panorama a 360 gradi veramente incomparabile. La sua forma a piramide triangolare offre la possibilità di tre diverse salite, di cui, due, da effettuare solo se esperti di roccia, mentre la terza, definita via normale, posta nel lato sud-sud est, è più facilmente percorribile seppur con le dovute cautele. Ovviamente, visto lo scarso allenamento, scegliamo la terza via. Con noi viene anche il nostro cane Pluto che, appena vede aperto il portellone della macchina, prende posto incurante degli zaini che gli limitano lo spazio a disposizione.
Risaliamo da Seravezza fino a superare Levigliani e Terrinca e, dopo un chilometro, troviamo la deviazione sulla destra che ci porta a Passo Croce; da qui, pagato il doveroso obolo di parcheggio, si può proseguire per circa un chilometro e mezzo su strada quasi del tutto sterrata, fino ad incontrare il sentiero CAI 129 proveniente dal borgo abbandonato di Campanice.
Lasciata la macchina a quota 1230, si prosegue su via di cava fino a Fociomboli a quota 1282 per poi piegare a sinistra sul sentiero CAI n° 11 che porta al Puntato; si scende per un centinaio di metri, ad incontrare sulla sinistra una marginetta da poco restaurata. Da qui si diparte il sentiero, non numerato, ma ben riconoscibile dai segnali blu, per la vetta del Freddone. Si percorre, in leggero saliscendi a mezza costa, una traccia assolata sulla quale il paleo e le felci la fanno da padrone: un breve passaggio esposto con l’ausilio di una corda fissa per immergerci poi in una bella faggeta che prosegue alla stessa quota.
Ancora alcuni passaggi su roccette che richiedono un po’ d’attenzione e l’uso delle mani, fino ad arrivare alla Sella Freddone. Si prosegue sulla destra, aggirando la base della piramide per poi piegare a sinistra, dove il sentiero inizia a salire decisamente oltre il limite dei faggi. Pluto saltella felice, ci precede, annusando chissà quali prede, poi torna indietro e riparte così per decine di volte sul sentiero che sembra conoscere a menadito.
Una breve, ma ripida, salita a zig zag su una traccia immersa nel paleo fino ad arrivare ad una sella; da qui, seguendo la cresta, si arriva, in pochi minuti e dopo poco più di un’ora dalla partenza, alla sommità del monte sul cui pianoro campeggia una piccola croce.
Oggi c’è un fresco vento di tramontana che, ripulendo la foschia, permette una vista spettacolare; ad ovest la vetta dell’Altissimo e, sullo sfondo, il Grondilice ed il Contrario ed ancora, volgendo lo sguardo a nord i monti Sella, Fiocca, il passo Fiocca, sul quale incombe l’imponente mole del Sumbra; più in basso il lago di Isola Santa e sullo sfondo l’ Appennino.
Lo sguardo che prosegue ad est incontra la Pania Secca, la cresta dell’Uomo Morto, il Pizzo delle Saette, la Pania della Croce che sovrasta l’Alpe del Puntato ed il Col di Favilla; a sud il Corchia ed il mare nel quale si distinguono nettamente l’isola d’Elba , la Capraia, la Gorgona e la Corsica. Seduti a mangiare un panino ci godiamo beati questo stupendo panorama; è valsa la pena di arrivare fin quassù. Torniamo al Passo Croce e, dopo un breve riposo su un’enorme panchina posta in posizione panoramica, rientriamo verso casa dove ci aspetta l’impegno di assaggiare le acciughe sotto sale d’annata.
Si, perché da molti anni, tranne la parentesi del Covid, un caro amico mi procura, nel mese di luglio le famose acciughe di Monterosso, quando sono della giusta dimensione per essere messe in salamoia. Anche quest’anno, con il valido ausilio dei compagni d’avventura, le acciughe, freschissime, sono state decapitate, e non eviscerate si badi bene, e messe per una giornata sotto sale, in una capace tinozza per far sì che il sale medesimo le prosciughi del loro liquido fisiologico; sono state poi impilate ordinatamente nelle albanelle in vetro e ricoperte di salamoia. Le acciughe in salamoia, al contrario di quelle sotto sale come è d’uso in gran parte d’Italia, restano più morbide e delicate; già, ma come fare una perfetta salamoia?
Il segreto mi è stato svelato negli anni settanta dai pescatori di Levanto, dove mi recavo spesso per motivi di lavoro. Dunque in una indeterminata, ma sufficiente quantità d’acqua portata a bollore si mette una piccola patata che, essendo più pesante andrà a fondo; si comincia a mettere sale grosso il quale, sciogliendosi pian pano, aumenterà la densità del liquido fino a quando la patata verrà a galla. A questo punto la salamoia è pronta; si lascia raffreddare e con essa si ricoprono le acciughe debitamente impilate, poi un peso sopra ed il gioco è fatto. Dopo circa un mese si avranno delle acciughe perfette.
Oggi è il momento di assaggiarle; si tolgono dall’albanella, si sciacquano, si sfilettano, si irrorano d’aceto, si asciugano, si ricoprono d’olio extravergine eventualmente aromatizzato con prezzemolo ed aglio finemente tritati e si stendono su un crostone di pane imburrato. Beh, posso dire che anche quest’anno sono una sinfonia di sapore che ci ripaga con interessi delle fatiche del monte Freddone.