Nomen omen, o meglio, assonanza omen: il toponimo Issogne, richiama la parola sogni, anche se, in realtà è l’esito italiano del termine latino Iccionia o Aescionia, che contiene la radice della parola iccius, cioè colpo, perché i Romani, nel I° secolo dopo Cristo, in quel luogo costruirono una fortificazione a presidio della via delle Gallie, voluta da Ottaviano Augusto. Si trattava di una postazione da cui partivano i colpi dei soldati romani contro eventuali nemici che tentassero di attraversare le Alpi. I sogni, dunque, non c’entrano nulla. Eppure col castello che domina il borgo di Issogne, e che da questo prende il nome, i sogni c’entrano moltissimo e non perché nell’immaginario collettivo tutti i castelli sono luoghi da sogno, ma perché la storia, le caratteristiche e persino l’attuale fruizione del castello di Issogne sono frutto di sogni pensati e realizzati da persone spesso visionarie e capaci di essere trasversali allo scorrere del tempo.
Conosciuto come uno dei castelli più belli della Valle d’Aosta – titolo tutt’altro che riduttivo, visto che nell’estrema regione al nord ovest d’Italia c’è praticamente un castello ogni dieci chilometri, e tutti sono perfettamente conservati e mantenuti – il castello di Issogne, in realtà, non è un castello, ma una residenza signorile del Rinascimento. E già qui cominciano le “anomalie”, intese nell’accezione positiva del termine, cioè nel senso di inconsueto e anche di sorprendente. Il castello di Issogne, infatti, si trova su una leggera altura, meno di una collina, a 400 metri di altezza, sulla riva sinistra della Dora Baltea, e non su impervi ed elevati spuntoni di roccia, come accade per tutti gli altri castelli valdostani e per i castelli in generale, che dovevano essere difficili da raggiungere e dovevano avere una vasta visuale sul piano, per scongiurare o fronteggiare per tempo l’arrivo dei nemici. Una funzione strategica, tuttavia, il castello di Issogne, l’aveva ed era quella di postazione segnaletica: dalla torre nell’angolo nord ovest del castello si aveva, infatti, una vista privilegiata sui vicini castelli della vallata, da quello di Arnad a quello di Verres, a quello di Challand Saint Victor e, per secoli, fino all’invenzione del telegrafo, venne usato un sistema di comunicazione con segnali che rimbalzavano dalle torri dei castelli contigui, sulla base del quale, in seguito, nell’800, Napoleone costruirà la sua rete di comunicazione bellica, sfruttando l’invenzione del prototelegrafo realizzata dai fratelli Chappe.
Il castello di Issogne venne edificato nella forma che, sostanzialmente, è rimasta quasi intatta fino ad oggi, alla fine del 1400, sulla preesistente struttura di una casaforte di proprietà dei vescovi di Aosta, a sua volta derivata dalla costruzione sopra i resti di una villa romana, dei cui muri perimetrali restano tracce nelle cantine del castello. Dopo il controllo, durato almeno tre secoli, da parte della chiesa e il continuo contrasto tra i vescovi e i signori di Verres, nel 1379, la diatriba si risolse con la creazione di un feudo che il vescovo di Aosta assegnò alla famiglia de Challand, signori di Verres, che portarono il castello al suo massimo splendore nell’arco di un secolo. Caratterizzati da un sentimento religioso profondo, gli Challand, divenuti conti all’inizio del ‘400 per investitura dei Savoia, per tutto il secolo videro lotte interne alla famiglia per la successione al titolo di conte e signore del castello di Issogne, dovute al ripetersi di generazioni di conti che non ebbero eredi maschi. Proprio per il passaggio del titolo a un cugino del conte Luigi di Challand-Aymavilles, dopo la sua morte, nel 1487, al castello di Issogne arrivò Giorgio di Challand-Varey, priore francese, uomo di grande cultura e amante delle arti, che fu il primo “visionario” artefice delle fortune del castello. A lui si deve la costruzione dei blocchi che diedero al castello la forma a ferro di cavallo, la realizzazione di un ampio giardino delimitato da un muro di cinta e, soprattutto, le meravigliose decorazioni che rendono unico il castello: affreschi, sculture e opere architettoniche che caratterizzano il maniero, mantenute, in molti casi intatte e assolutamente originali dalla felice combinazione dei venti freschi della vallata e l’orientamento della struttura del castello.
L’opera più famosa è certamente la fontana del Melograno che si trova nel cortile del castello, formata da una vasca ottogonale, al centro della quale svetta un albero di melograno in ferro battuto, con alcuni rami che si trasformano in piccoli draghi dalle cui bocche sgorgava l’acqua. Ma le “stranezze” non si esauriscono qua: la pianta è ricca di frutti del melograno, ma le foglie che presenta sono della quercia. La commistione tra le due specie botaniche ha, sicuramente, lo scopo di unire il simbolo della fertilità e della prosperità del melograno con quello della forza della quercia. La fontana, infatti, fu il dono che Giorgio di Challant fece a Filiberto, figlio del defunto conte Luigi, che gli era stato affidato da padre in punto di morte, nel giorno delle sue nozze, nel 1502.
Gli affreschi che caratterizzano interni ed esterni del castello sono suggestivi, bellissimi e, manco a dirlo, originali. In molti sono rappresentate scene di vita quotidiane tipiche della zona – c’è anche, infatti, la prima attestazione iconografica di una forma di fontina, celebre e tipico prodotto valdostano per eccellenza, nella scena che ritrae l’interno di un negozio di salumiere – che rivelano non solo la volontà di testimoniare il presente, ma anche quella di saper guardare la realtà con un occhio ironico e disincantato. Le scene di vita quotidiana si trovano nel porticato del cortile del castello e riempiono le ampie lunette sotto le arcate: in esse vediamo soldati che giocano a back gammon e a filetto, oppure intenti a bere fino a ubriacarsi in compagnia di un’ostessa compiacente, dopo aver appeso le armi alla parete; oppure scopriamo un gatto pronto a rubare un pezzo di carne al beccaio – cioè il macellaio – che gira lo spiedo; o ancora ritroviamo la stessa asta di legno che ancor oggi si usa come metro per tagliare la stoffa, nel negozio di tessuti, vediamo l’ animazione assolutamente moderna di un mercato di ortaggi e frutta, osserviamo l’impegno con cui lo speziale, cioè il farmacista, calcola i suoi introiti, contornato da bocce di sostanze medicinali. Non scene di guerra, non rappresentazioni di imprese epiche, più o meno leggendarie, ma la vita di ogni giorno tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500: il messaggio di Giorgio di Challand per sottolineare la bellezza della vita pacifica che si svolgeva sotto il suo dominio. La parete esterna, che sovrasta il cortile, è ricoperta di stemmi nobiliari che ricordano le casate e anche i matrimoni dei discendenti della dinastia (unici affreschi che hanno subito, un po’, l’azione del tempo cronologico e meteorologico, ma che sono, al momento, oggetto di un importante restauro).
Le principali sale dell’interno della residenza lasciano letteralmente a bocca aperta sia per la bellezza, sia, spesso per la loro particolarità inusuale. Abbondano i significati simbolici, anche vagamente oscuri, ma sempre originalissimi, negli affreschi del castello, come, ad esempio le raffigurazioni che decorano l’impressionante Sala della giustizia nel quali regna un’indecifrabile commistione tra sacro e profano che non può non affascinare ogni visitatore, come la raffigurazione – classica – di una veduta di Gerusalemme con il Golgota su cui compaiono le tre croci (senza corpi appesi), ai cui piedi si svolge un’allegra battuta di caccia con cavalieri e cani. O anche la scena raffigurata in una lunetta laterale nella quale alcuni uomini lottano contro un drago ritratto nell’atto di sfilare i pantaloni a uno di questi, lasciando col deretano scoperto – probabilmente la vera prima idea della nota pubblicità della Coppertone degli anni sessanta. O ancora , sempre assolutamente insolita, la scelta del pittore di raffigurare colonne in vetro trasparente per permettere una visone totale del panorama in propettiva.
Ma quel che riesce a rendere ancora più unico il castello di Issogne sono le scritte e le incisioni presenti praticamente su tutte le pareti del castello: a tutta prima, se non le si osserva da vicino, potrebbero sembrare semplici, riprovevoli, atti di vandalismo. In realtà, leggendole si scopre che molte risalgono al ‘500 e poi ai secoli successivi – e, per fortuna, non ce n’è neppure una contemporanea – e che quindi l’espressione di pensieri scritti sui muri era un tratto ammesso, o forse anche ricercato, dai signori del castello dal Priore Giorgio in poi. Sono frasi in latino, in francese, in italiano rinascimentale: alcune sono semplici firme, altre danno ammonimenti e consigli di vita, altre ancora raffigurano alcuni degli abitanti del castello. Affascinano, inquietano, lasciano perplessi: perché era ammessa una pratica che oggi è diventata un reato? Forse una forma estrema di ospitalità: quello che oggi potrebbe essere un esempio di massima inclusione o la volontà di mantenere le tracce di tutti quelli che passarono di lì. Le sale interne, dalla cucina, alle camere – compresa quella che ospitò con ogni probabilità Carlo VIII re di Francia nel 1494 – alla cappella, persino a due stanze da bagno già dotate di una sorta di water e di sistema fognario, sono quasi interamente piene di arredi originali e quelli che non risalgono al cinquecento, sono fedeli copie fate realizzare nell’800 da un altro straordinario visionario che ha fatto la fortuna del castello di Issogne: Vittorio Avondo.
Dopo quasi due secoli di decadenza fino all’abbandono, con la vendita di gran parte degli arredi, il castello di Issogne venne comprato, nel 1872 da un pittore e archeologo torinese, Vittorio Avondo, appartenente a una famiglia della ricca borghesia, già proprietaria di un castello a Lozzolo, nel vercellese. Avondo ne fece la sua residenza privata e dedicò i successivi trent’anni a recuperare, in maniera quasi maniacale, l’aspetto rinascimentale del castello. Con una ricerca ossessiva nei mercati dell’antiquariato, riuscì a ritrovare buona parte degli arredi originali, restituendoli al castello e, per quelli che non potè rinvenire, ne fece fare copie fedelissime.
Avondo si avvalse della collaborazione di un gruppo di artisti suoi amici come Alfredo D’Andrade, Giuseppe Giacosa, l’autore dei libretti di molte opere di Puccini e Federico Pastoris che, per il castello realizzò il celebre dipinto “Ritorno di Terra Santa” che raffigura una scena – mai avvenuta, in realtà – del ritorno di Pio Guglielmo dalle Crociate e che ha come sfondo proprio il cortile del castello di Issogne, se pur con la fontana diversa da quella del Melograno. Avondo donò il castello allo stato italiano nel 1907, tre anni prima di morire. Nel 1948, con la nascita della Repubblica, il castello divenne proprietà della Regione Valle d’Aosta. Una serie di restauri negli ultimi anni, alcuni dei quali ancora in corso, hanno creato il percorso attualmente fruibile solo con visita guidata, peraltro con una guida di grande competenza e simpatia. Un percorso che esplora 12 dei cinquanta locali che compongono il maniero e che è perfettamente in linea con l’originalità del castello: enormi specchiere che si animano e raccontano la storia di Vittorio Avondo e dei suoi amici, ologrammi che appaiono sulle pareti come fantasmi virtuali col sottofondo di voci che rievocano i dibattiti sul recupero del castello e giochi di specchi che riflettono all’infinito la magnificenza di pareti e soffitti finemente decorati.
Non manca neppure il brivido della maledizione con una scritta in francese risalente al ‘500, posta sopra la porta che accede all’ampia scala a chiocciola, prodigio di architettura, che ammonisce a non oltrepassare l’uscio, se si è sparlato di qualcuno, perché il diavolo potrebbe portarti via. C’è tutto nel castello di Issogne, anche l’impensabile: per questo la visita è assolutamente imprescindibile se si transita nelle vicinanze e si vuole sognare. Del resto, lo stesso Avondo lo chiamò “il castello dei sogni”.