• Sab. Mar 25th, 2023

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Settembre 2022. I ragazzi della band la Faida si trovano al Frequenze Studio di Monza per la registrazione del loro album. Sono dei giorni particolari, densi di sogno e soddisfazione. L’ultimo giorno di registrazione, a lavoro concluso, li raggiungo: questa è la volta in cui qualcuno mi spiegherà il logo della Faida.

Se dovessimo eleggere il più introverso della band, credo che la scelta ricadrebbe sicuramente su Max. Capelli lunghi, super slanciato, pare catapultato qui da un’altra era,  con la sua chitarra. Sul palco lo vedi andare avanti e indietro, a tratti sembra volteggiare etereo, in altri momenti sembra che ti voglia raggiungere con audacia, puntandoti con la chitarra come a dire: “Senti qua”. Quando suona in acustico, nonostante in parte coperto dai suoi immancabili occhiali da sole, il suo volto dimostra passione  e  forza: è palese l’impegno e l’entusiasmo con cui le sue mani suonano.

Ricordo la prima volta che lo intervistai ad Alghero. In realtà era anche la prima volta che avevamo potuto interagire: c’eravamo visti per poco tempo ad una cena e io avevo cercato di non esser troppo invadente. Insomma: si capisce quando davanti hai una persona più chiusa, non asociale, ma semplicemente più restia a fare i primi passi. Quando lo intervistai  disse una sua frase che mi colpì molto: “Quando conobbi Ivan a Los Angeles non siamo stati molto a contatto: io non sono uno che si mette molto a contatto con la gente, in realtà”.

Con questa descrizione fulminea di sè avevo capito, in quell’istante, la fatica  che rappresentava per Max, quell’intervista, in cui doveva parlare liberamente a me, che ero una sconosciuta. Max fu molto professionale, ma lo sforzo fu innegabile e io e Ivan lo apprezzammo molto.

Torniamo alla questione del logo della Faida: il significato di quei due martelli che si incrociano. Chiedo ai ragazzi di parlarmene e interviene Max. Siamo a Monza, serata di festeggiamenti, l’incisione dell’album conclusa da poche ore, il clima di liberazione, soddisfazione ed euforia è palpabile e presente in tutti loro. Max inizia a parlarmi. Per qualche motivo, la sua birra, improvvisamente, diventa whisky, le sue parole talvolta inciampano tra gli effetti tipici dell’alcool e della stanchezza, ma nulla di più chiaro può esser detto: “Il martello è un’identità di classe: è una caratteristica identitaria di quella classe, di quello strato sociale di cui noi facciamo parte. Diciamolo chiaramente quello che siamo, noi siamo quella classe operaia a cui nessuno ha mai regalato nulla. La Faida è la classe operaia che cerca di riscattarsi e lo fa con la musica, lavorando duro per una cosa comune, siamo una famiglia. Semplicemente non una famiglia nel modo classico.”

La sua voce a tratti si spezza, l’intensità di ciò che dice e quel che dice colpisce tutti. Io e Ivan ci guardiamo e realizziamo ancora una volta quanto il nostro progetto, la nostra quasi follia di pensare di poter scrivere davvero un libro, stia aprendo le porte a scenari impensabili.

Spiegare il logo di una band è importante, rende più facile l’accesso al significato del nome . Dopo le parole di Max, io e Ivan abbiamo ragionato sul fatto che stavamo semplicemente aspettando che accadesse qualcosa del genere. Una delle caratteristiche di Ivan è che spesso quasi legge nel futuro. Ci ritroviamo  a correre insieme per più sfide ed è chiaro che l’interiorità dei suoi compagni di viaggio, la sua famiglia artistica, è un punto che a lui sta molto a cuore.

Darsi un nome, per le band, non è di certo un processo facile e banale e alla luce della chiacchierata con tutti i ragazzi, concludo con una semplice affermazione: la band non “si chiama” la Faida, la band è Faida.