• Ven. Apr 19th, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

OLTRE|FRONTIERA

Questa settimana andiamo a: Londra, Regno Unito

Coordinate: 51°30′26″N 0°07′39″W

Distanza da Firenze: 1.625,20 Km

Il progresso – che sia tecnico, scientifico o sociale – trova soluzioni alle nostre necessità, fornisce risposte alle nostre domande.  È il tratto distintivo della nostra specie. Quasi sempre, però, accade che ogni innovazione generi, a sua volta, un nuovo problema, così come da ogni scoperta si diramano nuovi interrogativi. Se c’è un ambito scientifico dove questa premessa epistemologica trova la sua massima espressione, questo è, senza alcun dubbio, la genetica.

Chi segue questa rubrica, si ricorderà dell’articolo relativo al farmaco da 2,1 milioni di dollari che salva la vita ai bambini affetti SMA di tipo 1 – una malattia genetica rara che porta alla morte entro i cinque anni di vita – e delle rilevanti implicazioni che il suo altissimo costo costringe ad affrontare. Ebbene, si è aperto da poco un nuovo fronte di dilemmi etici legati a questa branca della ricerca: il governo britannico ha annunciato che, a partire dalla fine del 2023, sequenzierà l’intero genoma di 100mila neonati, alla ricerca di 200 malattie genetiche curabili. Il programma, chiamato Newborn Genomes Programme, è finanziato interamente dal sistema sanitario nazionale britannico, per una spesa di 198 milioni di dollari, e sarà gestito dalla Genomics England, un’azienda di stato. Dall’altra parte dell’oceano, un identico progetto, a finanziamento privato e coordinato da una genetista della Columbia University, è già in corso da qualche mese.

La riflessione deve partire dalla dichiarazione del direttore sanitario della struttura britannica, il dottor Richard Scott: “La questione è delicata, ma c’è una reale urgenza d’individuare un maggior numero di malattie infantili”. Si parla, quindi, di urgenza. Poteva benissimo declamare la nobiltà del progetto, o enfatizzarne l’alto valore scientifico, e nessuno avrebbe osato contraddirlo, perché sarebbero state entrambe affermazioni inconfutabili. Invece, molto più prosaicamente, la questione viene definita urgente. Cerchiamo di capire perché.

Lo scopo del progetto è semplice, almeno nella sua formulazione semantica: diagnosticare in anticipo tutte le patologie genetiche note, e curare i bambini fin da subito, evitando loro la morte, o una vita di sofferenze. La pratica non è nuova: già adesso, in molti paesi, si preleva una goccia di sangue dal tallone dei neonati per diagnosticare alcune malattie genetiche rare, tra cui la SMA di tipo 1. Il sequenziamento totale del genoma neonatale permette di individuarle tutte quante ma, naturalmente, è enormemente più costoso.

Quale altro obiettivo scientifico è in grado di generare assensi incondizionati e generalizzati, se non quello di salvare dei bambini da un destino orribile? Nessuna argomentazione a sfavore, istintivamente, è degna di essere presa in considerazione. Eppure i dubbi sono molteplici. Ora torniamo alla domanda iniziale: e cioè perché sia urgente questo tipo di ricerca. È chiaro che dietro a tale impellenza dichiarata, vi siano, essenzialmente, motivazioni economiche e politiche.

L’Europa è malata. L’intero mondo occidentale, in generale, è malato. La sua malattia si chiama declino demografico. Il benessere diffuso porta con sé delle contraddizioni tali, che il desiderio – o la possibilità – di fare figli, e cioè la geniale soluzione biologica al problema della continuità di specie, sta venendo meno, ogni anno di più. E questo è un fatto assodato. In tal senso, ogni neonato salvato da morte certa, oppure da un futuro fatto di cure o disabilità più o meno permanenti, comporta un valore socio-economico, che non ha niente a che vedere con il dovere etico di guarire la gente, e a maggior ragione, i bambini. Secondo le stime, se si potessero mappare tutti i neonati del Regno Unito, si potrebbero diagnosticare circa tremila patologie curabili da subito, in alcuni casi, anche con semplici accorgimenti alimentari. Tremila malati in meno ogni anno, rappresentano un risparmio enorme per i servizi sanitari controllati dagli stati, anche perché il costo di una persona gravemente malata non si esaurisce con le cure mediche, ma è incrementata, e non di poco, dalla perdita di tempo produttivo dei parenti che seguono il malato, e altre variabili simili. Di contro, c’è chi sostiene che la cura delle malattie individuate sarebbe, comunque, intollerabile per i servizi sanitari già al collasso, e che sarebbe assai più produttivo investire i soldi pubblici nell’estensione massimale delle procedure di screening attuali, che individuano solo nove malattie genetiche rare, ma la cui insorgenza, in compenso, è certa. Da questo specifico aspetto della questione, vale a dire l’accuratezza previsionale, nascono i dilemmi più propriamente emotivi della questione e che coinvolgono i genitori del neonato e, più in generale, il comune sentire. Non è detto che eventuali anomalie genetiche rilevate, portino necessariamente alla malattia, ma sapere che esiste anche una sola probabilità, è più che sufficiente per indurre ansia in qualunque genitore. Poiché lo screening scova tutte le probabili malattie genetiche curabili e non, ai genitori che accetteranno di sottoporre i loro figli alla mappatura, verranno comunicate solo quelle per cui esiste una terapia. Questo “limite” alla consapevolezza del futuro che attende il proprio bambino, racchiude tutta la contraddizione etica di questa iniziativa medico scientifica. Il progetto avrà una durata biennale. E alla fine di questo periodo di gestazione, cosa succederà? Per produrre una significativa diminuzione della mortalità o della malattia infantile, lo screening dovrà essere effettuato su tutti i neonati, e quindi reso obbligatorio. Ma siamo sicuri che sia etica, una pratica del genere? Anche la scelta di comunicare solo le malattie a forte rischio di insorgenza, amplifica, comunque, le responsabilità morali dei medici, distorcendo in ampiezza i loro limiti deontologici. I genitori cui viene comunicata la certa o probabilissima malattia del figlio, sebbene curabile, subiranno uno shock notevole e la loro vita cambierà, ma anche quelli a cui non viene comunicato niente, non potranno, in ogni caso, vivere serenamente, in quanto non saranno certi al cento per cento che il proprio figlio starà bene, ma soltanto che quest’ultimo non si ammalerà gravemente. Queste considerazioni sembrano più adatte ad una spiegazione pratica della teoria dei giochi, che a ragionamenti su questioni mediche, eppure non possiamo evitarle. Così come non possiamo non chiederci chi potrà avere accesso ai dati raccolti; oppure se le evidenze statistiche non faranno altro che aumentare il fatturato delle case farmaceutiche. Come si potrà negare ai genitori la scelta di cosa sapere o meno? Arriveremo al punto che verrà consegnata una lista di malattie opzionali, con vari tassi di probabilità di insorgenza, tra le quali le coppie potranno decidere quali essere le più accettabili? A me sembra, che, invece di incentivare nelle giovani coppie la voglia di fare un figlio, tutto ciò produca l’esatto contrario. Per combattere efficacemente l’inerzia individualistica delle nostre opulente società, spostando in territorio positivo la curva demografica, ci vogliono iniziative di diversa natura. Guarire bambini malati deve restare un imperativo morale, non la variabile di una computazione di costi e benefici, inquietante prodromo della creazione di una razza eletta, svincolata dal difetto, che non ci proietta nel futuro, bensì nel nostro peggiore passato. 

Fonti: Internazionale, Science, Wikipedia