OLTRE|FRONTIERA
Questa settimana andiamo a: Oxford, Inghilterra, Regno Unito
Coordinate: 51°45′07″N 1°15′28″W
Distanza da Firenze: 1.732,5 Km
Aspirate a rendere concretamente il mondo un posto migliore? Volete contribuire fattualmente a salvare l’umanità dall’estinzione? È facile: diventate ricchi e fate tanta beneficienza. Ogni altro sforzo o impegno personale in un qualunque ramo dell’attivismo sociale è, molto semplicemente, inutile. Questo, in estrema sintesi, è il nucleo concettuale fondante dell’Altruismo Efficace (Effective Altruism): un movimento ideologico e pragmatico nato nel 2009, in un college di Oxford, da un fertile incontro di illuminati intelletti: lo studente di filosofia William MacAskill, e il ricercatore Toby Ord.
La questione, però, non è nuova. Nel 1979 il filosofo australiano Peter Singer dà alle stampe un saggio dal titolo “Etica pratica”, in cui – rielaborando in forma pragmatica la teoria dell’utilitarismo, secondo la quale il bene si identifica con l’utile, e siamo tutti moralmente tenuti a perseguire obiettivi, che producano il più alto grado di felicità per il maggior numero di persone – teorizza che, per migliorare il mondo, ognuno dovrebbe devolvere una quota minima dei propri proventi in beneficienza, una sorta di “decima” di biblica memoria. Il verbo del filosofo australiano – paese di cui, peraltro, si stenta a trovare un particolare contributo in questo specifico campo del sapere – è fatto, proprio, dai due sopracitati virgulti oxfordiani, che lo trasformano in una specie di teoria, quantificando in un minimo del 10 per cento la frazione del proprio patrimonio da devolvere, ed elaborando alcune formule matematiche mutuate da altre discipline, per indirizzare il contributo, in denaro, di ognuno verso la scelta che presenta il miglior rapporto costi-benefici per la comunità. In altre parole: la capacità delle nostre azioni di produrre un bene maggiore, è misurabile. Questa misurabilità dovrebbe impedire di perdere tempo in attività che, magari, accrescono personalmente, ma che non producono il bene maggiore. La conseguenza di tale sperequazione di tempo e risorse è, alla fine, un aumento della sofferenza, in quanto abbiamo lenito meno dolore di quanto avremmo potuto. Facciamo un esempio limite: se io fossi un chirurgo plastico di eccezionale talento, potrei seguire la mia vocazione altruistica andando a lavorare in Africa per rimettere in sesto parti del corpo straziate da ustioni o esplosioni, facendo sicuramente del bene. Ma, secondo i valori fondamentali dell’AE, se restassi nel mio paese, aprissi una clinica privata, facessi soldi a palate e donassi il 10 per cento del mio reddito annuo a Medici senza Frontiere, farei ancora più del bene, in quanto potrei contribuire alla ricostruzione di molte più orecchie, rimanendo ricco, e potrei continuare, così, a donare e a fare del bene, in un circolo virtuoso senza fine. Attingendo alla terminologia propria delle scienze economiche, si potrebbe dire che denaro e potere fungono, in questo impianto teorico-pratico, da moltiplicatori del bene. L’implicita valenza redentiva di una scelta benefica operata secondo i dettami “filosofici” e i parametri “scientifici” dell’AE, richiama Max Weber e la sua teoria del calvinismo, come motore ideologico del capitalismo. In tal senso, i critici accusano l’AE di non far altro che spingere, chi fa parte del movimento, a perseguire la ricchezza e il potere, scendendo a compromessi con la propria coscienza, o addirittura infrangendo la legge, per perseguire un supposto bene superiore. È il caso del catastrofico fallimento della Ftx, la piattaforma di scambio di criptovalute più importante del mondo. Il suo fondatore ed ex CEO, Sam Bankman-Fried, è stato arrestato alle Bahamas con l’accusa di frode. Gli viene imputato l’uso improprio dei soldi depositati dai clienti della piattaforma (quasi 1 miliardo e 900 milioni di dollari) per finanziare una società di criptovalute e operazioni finanziarie da lui fondata, l’Alameda Research. Bankman-Fried, notoriamente uno dei più entusiastici sostenitori dell’AE, aveva dichiarato recentemente la sua ferma volontà di destinare la maggior parte della sua ricchezza in donazioni benefiche. Non mi stupirei se, in aula, si difendesse dicendo di aver agito per un bene superiore, di essere una sorta di Zorro algoritmico.
Ma la schiera di miliardari dalle idee eccentriche, che abbracciano manifestamente l’AE è folta, e ricca di nomi assai noti anche al grande pubblico: Elon Musk, proprietario di Tesla, SpaceX e Twitter; Peter Thiel, fondatore di PayPal; Dustin Moskovitz, l’altro fondatore di Facebook. Non mancano gli intellettuali come lo psicologo Steven Pinker o lo stesso Peter Singer. La relativa semplicità della soluzione proposta da MacAskill, per soddisfare il desiderio comune di fare qualcosa di importante per il mondo, e le sottili implicazioni mistico-redentive del modus vivendi che l’AE propugna, l’hanno fatto diventare rapidamente un movimento molto popolare, che conta migliaia e migliaia di sostenitori. Ma da quando l’AE ha abbracciato il “lungoterminismo”, molti di quelli che avevano aderito entusiasticamente, hanno fatto un passo indietro, perchè gli obiettivi del movimento, affermano, non sono più gli stessi. Il “lungoterminismo” è un’altra giovane teoria elaborata da un filosofo svedese, tale Nick Bostrom. Egli sostiene che bisognerebbe dirottare l’AE verso lo studio e la mitigazione di alcuni rischi estintivi per il genere umano, quali intelligenze artificiali ribelli, biohackerismo, collisioni spaziali, armi di distruzioni di massa incontrollate e altre tematiche care a Hollywood. Per quanto risibile possa sembrare, il problema è che il flusso di denaro si sta realmente spostando, sempre di più, verso progetti che ruotano intorno al rischio di lungo termine, o rischio estintivo, come viene denominato questo campo di studi. Così succede che i rischi incalzanti di oggi, perdono di interesse agli occhi dell’AE, non perché – come sostengono i suoi seguaci – i rischi di estinzione sono poco studiati e potenzialmente ancora più devastanti, bensì perchè quei problemi non hanno un colpevole evidente, richiedono un’azione collettiva, che si deve scontrare con dinamiche enormemente complesse, e sono problemi per cui l’AE, in definitiva, non può dare alcuna soluzione, auto definendo in tal modo il suo fallimento. Formata perlopiù da giovani maschi bianchi, freschi di laurea o laureandi, di sinistra ed atei, la comunità degli altruisti efficaci, ad oggi, con la sua crescente attenzione verso le problematiche del “lungoterminismo”, si avvia a trasformarsi rapidamente in una sorta di setta religiosa, in quanto condiziona pesantemente la vita delle persone che ne fanno parte, o che si interessano al movimento, le quali tendono ad operare scelte morali, sostituendo le loro propensioni con rigidi dettami aritmetici, che, ben lungi da fornire certezze, sono, invece, uno stratagemma retorico per disorientare, stordire e confondere il pensiero.
Chissà se gli autori della canzone “Si può dare di più” del 1987, si sono ispirati a Singer, quando, al culmine di varie riflessioni sui mali del mondo, vergano i versi imperituri e parenetici “…cosa fare non so/non lo sai neanche tu/ma di certo si può/dare di più”, strappando le italiche coscienze dell’epoca, al torpore del raggiunto benessere edonistico, e richiamandole ai principi cristiani di carità e misericordia. Di certo hanno colto nel segno, definendo, in una mirabile esegesi lirica di stampo nazionalpopolare, la tensione etica che tormenta chi abbraccia l’Altruismo Efficace: voglio fare qualcosa per gli altri, ma voglio che questo qualcosa lasci il segno e contribuisca a cambiare davvero le cose. Sarà pure una canzone banale, ma almeno non si spaccia per filosofia.
Fonte: Internazionale/Wikipedia