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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Moneta, la vita nel castello

DiLuigi Giovanelli

Giu 15, 2022

Il castello di Moneta, all’epoca del suo massimo splendore, era una società ad economia chiusa come la maggioranza dei “comunelli” cioè i borghi che oggi sono i paesi a monte della cintura collinare di Carrara. All’interno del castello, gli abitanti dovevano provvedere a tutto da soli, per cui gli abitanti erano essenziali all’economia dell’intero borgo di Moneta. Ma chi erano gli abitanti di Moneta? Nell’addentrarsi nelle testimonianze sulla vita che si svolgeva nel maniero si trovano curiosità particolari sulle usanze e le leggi e anche i cognomi delle famiglie che vi abitavano. Il castello di Moneta aveva sue leggi e ordinamenti che derivavano da un’antichissima tradizione popolare. Gran parte dei beni del castello erano comuni: nella seconda metà del ‘500 i “soci” delle proprietà del castello erano circa un’ottantina. Costoro si riunivano ogni anno per eleggere due consoli e tre sindaci che avrebbero amministrato il borgo di Moneta e i territori di sua pertinenza. La comunità di Moneta possedeva beni in comune con il borgo di Fontia, situato sulle colline oltre la riva opposta del canale Bertino. Si trattava di boschi che venivano utilizzati per la raccolta della legna e per lo sfruttamento delle carbonaie, oppure di castagneti adibiti alla raccolta delle castagne che garantivano la preziosa farina alimentare. Vi era, infine anche una parte di pascoli per il bestiame, dei quali, oggi non c’è più traccia, ma che verosimilmente si possono individuare nella piana sottostante Moneta, che comprendeva tutta quella parte di campagna fossolese che arriva fino ad Avenza e include anche le zone di Fossone. La condivisione di questi terreni era regolata da un accordo, in base al quale, in caso di pericolo, gli abitanti di Fontia potevano trovare un riparo sicuro all’interno del castello di Moneta. Trattandosi di un’economia chiusa, i servizi essenziali erano assicurati da quelle proprietà comunitarie come i molini, il frantoio, il Follo per la confezione delle stoffe. Molto interessante è la documentazione relativa ai cognomi degli abitanti di Moneta del ‘500, che si ricava dall’’archivio parrocchiale della chiesa di Fossola e dalle lapidi di personaggi illustri sepolti nella stessa chiesa. Da alcuni di questi è possibile ricostruire l’origine strettamente monetense di molte famiglie. Tra i cognomi dei capi famiglia troviamo i Pisani, i Danesi, i Nicodemi, i Del Soldato, i Carusi, i Corsi, i Gentili, i Cipollini, i Menchinelli, il cui discendente Francesco, fu l’ultimo Castellano di Moneta, sepolto sotto il pavimento della chiesa di San Giovanni di Fossola. Tra i documenti dell’archivio parrocchiale si trova anche il Rogito per Atti del Notaio Innocenzo Fantocci, datato 10 febbraio 1569, nel quale si attesta che gli uomini della Vicinanza di Moneta, si adunarono nella loro chiesa alla presenza del reverendo Don Valerio, Priore del Duomo di Sant’Andrea di Carrara e del Vicario di San Frediano di Lucca per mettere in evidenza il problema della distanza che separa Moneta da Carrara, che in inverno faceva che sì che le persone inferme morissero senza avere i conforti religiosi, e i neonati morissero senza battesimo. Il Rogito, che rappresenta un importante elemento a conferma dell’importanza che aveva il borgo di Moneta, riporta la decisione presa al termine dell’incontro e cioè quella di dotare la già esistente chiesa di Moneta di un’abitazione in cui un rettore potesse risiedervi in maniera garantendo la possibilità per gli abitanti del castello di accedere a tutti i sacramenti e a tutte le sacre funzioni.