• Ven. Apr 19th, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Il monte Sagro e le incisioni rupestri degli alpeggi: storie di vite passate

DiLuigi Giovanelli

Set 29, 2021

Si popolavano nel corso di una lunghissima estate che durava fino agli ultimi raggi del sole d’autunno e, in inverno e in parte della primavera, restavano silenti, vuoti di vita e di attività, spesso coperti dal pesante mantello della neve.
Per secoli gli alpeggi, in un territorio montuoso come quello italiano, sono stati la “seconda casa” dei pastori, che salivano a quote più elevate rispetto al villaggio in cui abitavano ai piedi della montagna, per portare greggi e mandrie a pascolare nei prati rigogliosi di erba delle vette. In genere il dislivello con la casa nel paese era di circa 200 metri, ma i pascoli, spesso, erano ancora più in alto e ogni giorno gli alpeggi vedevano un andirivieni di pecore, mucche, cani da pastore e allevatori. La frequentazione intensa dell’alta montagna nei mesi estivi facilitò l’introduzione di colture adatte al clima e all’ambiente naturale: nei piccoli appezzamenti ricavati sulle pendici dei monti si coltivavano segale, grano e patate e, presto, si cominciarono a costruire dei ripari per passarvi la notte.
Erano capanne o case d’alpe, riunite il più delle volte in piccoli insediamenti che si animavano solo per alcuni periodi dell’anno.
Le capanne erano in pietra, si trovavano vicino ai pascoli ed avevano, in genere, un piccolo orto in cui il pastore coltivava prodotti per suo consumo. Venivano abitate solo durante l’estate, per la durata dell’alpeggio del bestiame.
Le case d’alpe, invece, erano assai più vicine alle comuni abitazioni: anch’esse in pietra, ma con più vani, spesso a due piani.
Le attività che vi si svolgevano, pascolo e agricoltura, erano le stesse delle capanne, ma il pastore vi saliva per curare le coltivazioni e per raccogliere le castagne anche durante l’autunno o in primavera. In ogni caso si trattava di mesi in cui i pastori lasciavano la vita del borgo per vivere in una sorta di isolamento. Era inevitabile che sulle pietre delle capanne o delle case d’alpe venissero lasciati segni del loro passaggio.

Sul monte Sagro c’era un piccolo villaggio di capanne i cui resti sono ancora ben visibili così come le incisioni rupestri lasciate dagli uomini.

L’uso dell’incisione sulla roccia è antichissima e attestata già nella preistoria. I segni venivano scavati con strumenti appuntiti, variati nel corso dei secoli, in base all’evoluzione tecnologica. I soggetti ricorrenti nelle incisioni rupestri sono, per lo più, legati alla vita quotidiana, alle pratiche connesse con l’alpeggio e anche a narrazioni fantastiche. Difficile è ancora, per gli studiosi, l’interpretazione di tali segni. La commistione tra il naturale bisogno di svagarsi con una pratica come l’incisione e la volontà di comunicare un messaggio, religioso o propiziatorio, è troppo grande per definire con certezza il significato di un’incisione. Anche la loro stessa individuazione non è scevra di difficoltà: la luce del sole è un elemento basilare per rilevare un segno sulla roccia e i momenti più indicati sono l’alba o il tramonto, quando i raggi radenti creano ombre più marcate. Le Apuane sono ricche di incisioni che raccontano la storia degli apuani in un arco di tempo che dalla preistoria arriva fino ai nostri giorni.

Le capannelle del Sagro, come sono conosciute dagli amanti della montagna, si trovano a fianco del sentiero Cai per il monte Sagro: un gruppo di casupole, qualche stalla e degli abbeveratoi. Per secoli sono state abitate dai pastori locali, ma anche da quelli che arrivavano dalla pianura pisana e lucchese. Quando la città al piano venne colpita dal colera, nel corso dell’’800, in molti si rifugiarono lì, cercando di sfuggire al contagio. Anche chi era perseguitato per ragioni politiche correva a nascondersi alla capannelle del Sagro: i moti della Lunigiana del 1894, che coinvolsero anche Carrara, riportarono vita alle vecchie capanne dei pastori sulla vetta della montagna che sovrasta la città. L’isolamento e l’improvvisa disponibilità di molto tempo libero, anche in questo caso, spinsero i temporanei abitanti delle capannelle a lasciare segni del loro passaggio sulle pietre delle costruzioni e oggi, il visitarle, è quasi un piccolo viaggio a ritroso nella storia.
C’è l’incisione del Dragone di Modena che risale ai tempi in cui Carrara era sotto al Ducato di Modena e quindi a prima dell’unità d’Italia che avvenne nel 1861.
C’è un profilo di Lenin e quello di un pastore, una falce e un martello intesi come simbolo politico e un pennato, invece, come strumento di lavoro. Ci sono molte date di arrivo, di partenza: segni eterni di migliaia di vite passate da lì.

© Foto di Luca Bolognini